lunedì 26 ottobre 2015

Gli dèi viventi, puntata 3: Divinità in skateboard

A farmi incontrare per la prima volta l’idea che si potessero “creare nuovi dèi” non sono state le pagine ingiallite di qualche oscuro testo di stregoneria pagana, né discorsi sussurrati in un sotterraneo con qualche adepto di una misconosciuta religione misterica: è stata la lettura di Giù nel Cyberspazio di William Gibson quando avevo 18 anni.
Gibson identificava le Intelligenze Artificiali del suo romanzo con i Loa, le divinità della religione vudu: o meglio, erano le IA stesse a vedersi come dèi, capaci di penetrare ovunque, manipolare il mondo e invadere i corpi degli esseri umani. Una IA fa anche notare a uno dei personaggi umani che nell’antichità si credeva che si potesse invocare uno spirito o un demone conoscendo il suo vero nome. E quello che un tempo era solo mitologia, l’informatica lo aveva reso realtà. 
Comprendetemi, ero giovane: per il me stesso di allora fu una piccola folgorazione.
Sono piuttosto sicuro che gli uomini l’abitudine di plasmare nuovi dèi ce l’abbiano da sempre. Ogni volta che nell’orizzonte percettivo umano entra qualcosa di nuovo, che prima non si conosceva o che non era stato ancora inventato, le si associa qualcosa di divino che a sua volta prima non c’era. E questo vale per gli dèi delle autostrade oggi come – con ogni probabilità – per gli dèi dell’agricoltura di dodicimila anni fa, quando i nostri antenati hanno smesso di cacciare per darsi alla zappa. In un certo senso, la Divinità nella maniera in cui gli esseri umani la percepiscono è una pasta fluida, argillosa, in cui si possono modellare nuove forme e nuovi volti, così che ogni epoca e ogni cultura possa “guardarla in faccia” e aprire un dialogo con essa. 
Nei tempi antichi l’introduzione di nuovi dèi (che è una cosa distinta dall’adozione di divinità provenienti da altre culture: in quel caso non si tratta di modellare nuovi dèi, ma solo di prenderne a prestito qualcuno da “nuovi amici”) poteva avvenire in più modi. Ragionandoci, io ne ho contati quattro:


Dite ciao a Serapide, il dio che 
ha un moggio di grano per cappello
e Cerbero per animaletto di casa
Il sincretismo, ovvero mescolare due o più divinità per farne uscire una nuova, diversa dalle precedenti*. Il caso più famoso in area mediterranea è senz’altro Serapide, dio “messo insieme” in Egitto tra il IV e il III secolo a.C. con pezzi di dèi diversi, sia egizi che greci (Zeus, Osiride, Api, Ade, Dioniso, Asclepio, e col tempo se ne aggiungevano sempre di nuovi), con una precisa finalità politica: il tentativo di dare alla rumorosa, multietnica popolazione dell’Egitto prima tolemaico e poi romano una divinità che mettesse un po’ tutti d’accordo.

L’elevazione al rango divino di defunti importanti, che già ben prima del culto degli eroi greci, della deificazione dei faraoni egizi e degli imperatori romani o dell’ascesa al Cielo dei santi taoisti viveva i suoi anni (millenni?) ruggenti nel culto preistorico degli antenati. In quest’ambito il caso di maggior successo al mondo sono probabilmente i già citati Loa, che il vudu stesso riconosce come spiriti di esseri umani vissuti in epoche antichissime e via via “cresciuti” fino a proporzioni cosmiche e divine (e se considerate quanto è diffuso il loro culto oggi nel mondo, quanto sono amati dai maghi moderni e quanto si parla di loro in film, telefilm, fumetti e letteratura capirete perché la loro è stata una carriera senza paragoni).


Autentica statua in marmo
di Glicone del II secolo
(notate la capigliatura)
L’invenzione di divinità fasulle al preciso scopo di imbrogliare qualcuno, soprattutto nei casi in cui all’imbroglione andava così “bene” che la cosa gli sfuggiva di mano. Un esempio emblematico e divertentissimo è quello del dio Glicone, raccontato da Luciano di Samosata (che era una specie di  inviato del CICAP nel II secolo d.C.) nel suo libretto Alessandro il falso profeta. L’Alessandro del titolo era un truffatore di una certa abilità che, per diventare ricco e famoso, aveva raccontato in giro di aver scoperto nei sotterranei di un tempio in rovina un uovo divino, da cui sarebbe dovuta nascere un’incarnazione del dio Asclepio. Da lì aveva poi montato un fantasmagorioco teatrino in cui il dio neonato, che si chiamava Glicone e aveva l’aspetto di un serpente a testa umana con lunghi capelli biondi (con ogni probabilità un fantoccio “animato” da Alessandro stesso) parlava a folle di fedeli entusiasti, pronunciava oracoli e distribuiva persino cure miracolose. Alla fine l’imbroglio venne scoperto, ma, che ci crediate o meno, il culto di Glicone andò avanti per secoli in Asia Minore, con tanto di statue sacre e monete con la sua effige.

La creazione consapevole di un dio nuovo che presieda a qualcosa – una scoperta, un’invenzione, un nuovo concetto – che prima non c’era (chiaramente solo quando non si riusciva ad affibbiare il patronato sulla novità a qualche dio già esistente). È forse il caso più raro nell’antichità, così come è il più comune oggi: agli antichi capitava meno spesso di scoprire nuovi concetti universali o di inventare cose che diventavano subito fondamentrali per la vita di tutti, mentre a noi accade in continuazione. Ma i casi antichi non mancano: quello che io amo di più è il dio Mithra, che, secondo la (sensatissima) teoria esposta da David Ulansey nel saggio I misteri di Mithra, non era l’evoluzione dell’omonima divinità indo-iranica, ma un dio cosmico del tutto nuovo che del Mithra precedente riprendeva solo il nome. A “inventarlo” sarebbe stato Ipparco di Nicea, astronomo greco del II secolo a.C., per metterlo al timone di un fenomeno importantissimo da lui scoperto per la prima volta nella storia: la precessione degli equinozi (e questo è un argomento a dir poco affascinante, che meriterebbe molto più spazio di queste poche righe...)

Il “problema” del trovare divinità adatte ai tempi e del plasmarne di nuove alla bisogna è molto sentito anche dai pagani di oggi (giusto perché non si pensi sempre a loro come a “quelli che vanno a ripescare divinità semi-dimenticate e culti morti da duemila anni”), e le soluzioni tendono a essere le stesse usate dai nostri antenati (con un’aggiunta importante, su cui torno tra poco). 
La Triplice Dea e il Dio Cornuto riveriti dagli wiccani moderni sono un perfetto esempio di sincretismo religioso, che mette insieme concetti e somiglianze da tante religioni diverse per dare vita a due nuove figure divine di portata universale, nate in questa forma solo nel Novecento**. 

L'Imperatore Norton, uno
dei miei idoli personali
I Discordiani venerano come loro santo protettore l'Imperatore Norton, personaggio storico realmente esistito che nel 1859 si autoproclamò imperatore degli Stati Uniti d’America e venne trattato come tale per vent’anni, fino alla sua morte, dall’intera cittadinanza di San Francisco (se non lo conoscete, datemi retta e documentatevi su di lui: la sua è una storia straordinaria!) E la stessa Eris/Discordia da cui nasce il Discordianismo porta il nome di un’antica divinità greca ma, proprio come il Mithra di Ulansey, è una dea neonata, concepita da due persone ben precise (Greg Hill e Kerry Wendell Thornley) per incarnare un concetto tipicamente postmoderno: il caos creativo e rigenerativo. 
Glicone è venerato tuttora da alcuni chaos magicians (il celebre fumettista e mago Alan Moore ne ha fatto persino il suo nume personale, per la precisa e dichiarata ragione che si tratta di un dio inventato), e in più oggi abbiamo un bacino pressoché infinito di letteratura fantastica a cui attingere se decidiamo di mettere sul nostro altare qualche divinità immaginata da uno scrittore. Avete una vaga idea di quanto culto ricevano oggi in tutto il mondo i Grandi Antichi di H. P. Lovecraft? Fatevi un giro su internet e ne avrete un assaggio.
In più negli ambienti magici moderni (si fa per dire, è in giro almeno dall’Ottocento) circola il concetto di eggregore, termine che definisce un’entità disincarnata che può prendere forma nel piano astrale se uno o più maghi decidono di darle vita intenzionalmente tramite un rituale, oppure in maniera spontanea se un gran numero di persone crede nella sua esistenza, anche solo concettuale (perdonatemi, la sto facendo molto facile: in realtà è un argomento parecchio vasto, che vi lascio esplorare da soli se vi interessa). Secondo gli occultisti, una volta “nato” un eggregore è una vera e propria persona a sé stante, non fisica ma comunque reale, che può ricevere attenzioni ed energia dagli esseri umani e venir invocato per intervenire – entro certi limiti – nella realtà concreta. Insomma, non è molto diverso da un dio nel senso più classico del termine. Un dio fatto su misura. 

Avrete ben capito che di giovani dèi nati in epoche recenti se ne potrebbero elencare un bel po’. Per il vostro divertimento ne presento solo una manciata: 

Squat, la Dea dei Parcheggi, patrona di chi alza presto al mattino. È raffigurata come una donna dalla mole imponente, quasi una sorellona moderna della Dea Madre preistorica, e a lei si può rivolgere chiunque cerchi un posto dove stare, da un posto auto a un posto per dormire. ll suo “sacrificio” prediletto sono le barzellette sporche sulle suore: raccontatene una ad alta voce mentre cercate parcheggio in pieno centro, dedicandola alla dea, e aspettate che venga in vostro soccorso

Screw, il Dio del Lattice, a cui ricorre chi non vuole tornare a casa da solo il sabato sera. Il suo culto si celebra divertendosi sotto le lenzuola e al suo aiuto si contraccambia distribuendo a sconosciuti oggetti di lattice (dai guanti ai preservativi), oppure annodandoli in piena vista in luoghi pubblici. Le sole cose che lo offendono sono la castità, la monogamia, e il sesso non protetto 

Goflowolfog
Skram, la Dea dei Sussurri, che si manifesta come la sensazione di “non dover essere qui”. È la patrona metropolitana di chi cammina svelto con occhi e orecchie ben aperti, e può avvertire chiunque – in particolare le donne – di non andare in un dato posto, non entrare in una certa strada, non fermarsi sotto gli occhi di determinate persone 

Goflowolfog, il Dio del Traffico, che viene invocato per sciogliere gli ingorghi, sveltire le code e far ripartire tram e metropolitane quando si fermano per ragioni sempre misteriose (la proliferazione di divinità legate al traffico la dice lunga sul nostro mondo...) Ha l’aspetto di un gatto con un paio di occhiali da sole che viaggia in skateboard. Lo si invoca visualizzandolo mentre sfreccia nel traffico e pronunciando il suo mantra – che ovviamente è “Miaoooo!” – e lo si ripaga del suo aiuto con atti di gentilezza gratuita verso gli automobilisti e/o i gatti


Unica immagine nota di GOTOS,
che per alcuni, pù che a Max
Schreck, somiglia a Pinhead il
Cenobita di Hellraiser
GOTOS, oscura divinità poco nota al di fuori dei circoli occulti, nata negli anni Trenta come eggregore graze ai rituali di un gruppo esoterico tedesco chiamato Fraternitas Saturni. Non è che si sappia granché su GOTOS, se non che in faccia assomiglia parecchio all’attore Max Schreck quando interpretava il vampiro nel Nosferatu di Murnau (e forse non è un caso, visto che uno dei leader della Fraternitas, Albin Grau, era stato scenografo di Murnau) e che avrebbe la capacità di trasmettere enormi quantità di energia ai suoi adepti, i quali diverrebbero così in grado di lanciare incantesimi potentissimi***

Se vi è venuto da ridere leggendo queste descrizioni, considerate il fatto che ci sono persone – uomini e donne del 2015, non meno intelligenti o colte di voi, che sanno pilotare un jet o sintetizzare una proteina in laboratorio – per le quali queste divinità sono figure del tutto reali, degne di rispetto, capaci di agire nel nostro mondo, e che ricevono sacrifici e preghiere non meno di qualunque altro dio del passato o del presente. 
Domandarsi perché gli esseri umani di qualsiasi epoca, indipendentemente dal loro livello di comprensione della realtà fisica, credano nel divino, lo cerchino assiduamente e addirittura lo plasmino in forme nuove è lecito e pure spontaneo. Ma trovare una buona risposta non lo è altrettanto. 
C’è chi risponderà che è perché gli dèi ci sono e si fanno sentire. Chi risponderà che gli uomini hanno sempre bisogno di rassicurazioni, perchè è così che è fatta la loro psicologia. Chi risponderà che la ricerca e il bisogno di comprendere e di trovare spiegazioni (buone o cattive) alle cose fanno semplicemente parte della natura umana. E chi risponderà che le persone sono sempre pronte a farsi abbindolare anche dalle cazzate più improbabili. 
Al solito, scegliamo tutti la nostra risposta, quella che ci convince di più. E ce la teniamo stretta, perché non abbiamo molto altro al mondo. 



* Operazione che non va confusa con la semplice identificazione di una divinità della mia cultura con quella di una cultura diversa che ho appena scoperto. Nel mondo greco-romano questa era una pratica comunissima, basata sull’idea che gli dèi, in quanto forze universali, fossero sempre gli stessi ovunque, anche se con nomi diversi. Ad esempio, più o meno tutti sanno che i greci identificavano gli dèi egizi con i propri, ritenendo che Zeus fosse Amon, Thot fosse Ermes, Bastet fosse Artemide e così via (c’era anche un mito apposito per spiegare come mai in Egitto gli dèi avessero forme animali)

** Non me ne vogliano gli eventuali wiccani che mi stanno leggendo: lungi da me scoperchiare il Vaso di Pandora della polemica sull’antichità della Wicca, ma io sto con Ronald Hutton

*** Se vi interessa l’argomento, il testo di riferimento è Fire and Ice di Stephen Flowers, ma non è facile da reperire (l’edizione che ho io, e l’unica di cui sono a conoscenza, è di 25 anni fa)

mercoledì 21 ottobre 2015

Ancora un parola sulla magia

In questi giorni sto leggendo un libro di ispirazione sciamanica sulla spiritualità del mondo naturale, Speaking with Nature. È scritto da un’autrice che di solito non mi dice molto (Sandra Ingerman) e da un’altra che non conoscevo (Llyn Roberts), ma devo ammettere che mi sta piacendo parecchio. La ragione per cui lo cito però è un’altra: leggendolo mi sono reso conto – non per la prima volta – che chiunque bazzichi in maniera non solo occasionale magia e discipline affini non usa mai la parola soprannaturale.
Cosa penso della natura della magia e delle definizioni che se ne possono dare l’ho già detto qui un mese fa, ma mi sento di tornare – forse per l’ultima volta – sull’argomento per aggiungere una specie di corollario. 
Chi ritiene che la magia non esista (e vuole che la magia non esista) di solito ricorre all’argomento scientifico. È più o meno il tenore del dialogo che si è sviluppato anche sotto questo post, sebbene in quel caso a parlare fossero persone civili e i toni siano stati molto più beneducati della media delle “conversazioni” a cui ho assistito negli anni. Il fatto è che, quando sento argomentazioni come “L’universo è immenso, perfetto, pieno di bellezza, con regole meravigliose che diventano sempre più affascinanti man mano che le si scopre, anche senza dèi” (e con questo si intende anche senza magia e senza nulla che esuli da quelle regole nella forma in cui le comprendiamo oggi), non riesco a non pensare al gelato al cioccolato. 
Ora mi spiego meglio.
Io sono profondamente convinto che l’universo sia immenso, perfetto, pieno di bellezza e con regole meravigliose, ma è un po’ come se mi si facesse notare che il gelato al cioccolato è buonissimo, dolce, cremoso e irresistibile anche senza paragonarlo agli altri gusti di gelato. O, se vogliamo spingere la questione un passo più in là, che se i gusti di gelato diversi dal cioccolato non esistessero il gelato al cioccolato sarebbe buonissimo lo stesso. Anzi, il fatto che il gelato al cioccolato sia buonissimo è una prova convincente che gli altri gusti di gelato in realtà non esistono (e se credo di averli assaggiati me lo sono immaginato), perché il cioccolato non ha bisogno degli altri gusti per essere buono! 
True magic...
È chiaro che “l’argomento scientifico contro la magia” non viene portato sempre in questo modo, ma è una cosa che succede abbastanza spesso da essere diventata una battuta ricorrente tra chi bazzica la magia stessa. 
D’altro canto è molto difficile sentire un mago o in generale qualcuno che ha a che fare con queste cose mettersi a controbattere in conversazioni del genere, ed è per questo che da tempo non esiste più nessuna ipotetica “diatriba tra scienza e magia” (a meno che non si voglia considerare diatriba un dialogo a senso unico). Al massimo qualcuno può talvolta rispondere che determinati fenomeni oggi incomprensibili potrebbero essere compresi dalla scienza in futuro, alla maniera in cui l’elettricità poteva sembrare incomprensibile e “soprannaturale” a un uomo di mille anni fa. 
Ma nella maggior parte dei casi i maghi – e io con loro – non obiettano nemmeno questo. E il motivo si spiega facilmente: per chi ha la magia nella propria vita, la magia è un’esperienza.
Se proprio la si dovesse paragonare a qualcosa d’altro, personalmente la paragonerei all’esperienza del sapere che i miei genitori mi vogliono bene. O all’esperienza dell’aver voglia di mangiare una mela. O all’esperienza della nostalgia per un amico lontano. 
Cose che non hanno – per ora – una loro equazione definitiva. Ma che pesano sulla nostra vita non meno della chimica, della fisica o della biologia molecolare. 
A volte anche di più, non credete?

mercoledì 14 ottobre 2015

Che succede a ottobre?

Interrompo il mio abituale flusso di deliri su libri, stregonerie e amenità varie per segnalare un (realmente richiesto, forgive me!...) calendarietto delle mie presenze “pubbliche” questo mese.

Domenica 18 ottobre mi trovate alla nuova edizione di VaporosaMente, il festival steampunk di Torino, dove alle 15.00 parteciperò alla conferenza Le ombre del secolo illuminato assieme a quel vapososo diavolaccio di Roberto Cera. Tema del mio intervento: Lucifero e i circoli satanici tra Settecento e Ottocento. Il programma di VaporosaMente lo vedete qui di fianco: per tutte le info, qui.

Nell’ultimo weekend del mese, invece, mi imbucherò immancabilmente al Capodanno Nazionale dei Nerd, ossia Lucca Comics & Games, con due impegni: venerdì 30 ottobre alle 11.45 sarò nel panel Il Fantasy in Italia: cultura underground o genere in estinzione? (se ne volete sapere di più trovate tutto qui) assieme ad Aislinn e ad altre canaglie di quella risma.

Il giorno seguente, sabato 31, alle 11.00 terrò con Aislinn un seminario nell’ambito degli Educational di Lucca C&G dal titolo Maschi, femmine e… altre cose. Generi e degeneri nel fantastico moderno, in cui – lo avrete intuito – parleremo di come sono cambiati i ruoli e i rapporti tra i sessi in un secolo di letteratura fantastica (le info le trovate qui: i seminari sono a numero chiuso con iscrizione e il nostro ha già raggiunto la capienza massima, ma se vi interessa provate a iscrivervi comunque, perché se le richieste in eccesso diventano tante gli organizzatori potrebbe chiederci di replicare la lezione il giorno seguente, e noi ne saremmo ben felici!)
Locandina-preview di Slayers of Angels
Fuori da questi due “impegni ufficiali”, se mi cercate mi troverete per buona parte del tempo in orbita attorno allo stand di Wild Boar, dove tra le altre cose potrete trovare in anteprima il nuovo modulo Slayers of Angels per l’apocalittico gdr d’azione Apocalypse Slayers, modulo che ho modestamente contribuito a scrive anch’io: dato che si parla di angeli che invadono la Terra, Cavalieri dell’Apocalisse impazziti, città devastate e tonnellate di proiettili, non farete fatica a capire perché ho voluto infilarci prima un dito e poi tutta la mano... :-P

Se siete nei paraggi di uno di questi eventi e avete voglia di venire a darmi un bacio in fronte o a tirarmi un pugno in gola, sapete che vi accoglierò sempre a braccia aperte! (e vi restituirò regolarmente qualunque cosa mi tirerete addosso. Con interessi)


A Lucca parleremo di fantasy in Italia... preparate le granate anti-uomo

venerdì 2 ottobre 2015

Le Voci di chi non ha voce

Dato che ormai è decisamente autunno (lo dice il calendario, ma lo provano le mie finestre quando le apro al mattino…), mi viene voglia di parlare di comunicazione non umana.
“E che minchia c’entra??” direte voi. 
Seguitemi con (la solita) pazienza e ve lo spiegherò. 
Tra tutte le stagioni, l’autunno è quella che per me rappresenta di più il cambiamento. È una stagione di passaggio e questo è ovvio, ma – mi fanno notare – lo è anche la primavera, e anche allora le cose cambiano piuttosto vistosamente. Lo so, ma in autunno io avverto un cambiamento più intenso. Sarà perché è più veloce, le foglie trasmutano e cadono in una manciata di giorni appena. Sarà perché l’assalto sensoriale – i colori, le nuvole, il vento, l’odore dell’aria – per me è molto più forte che in qualunque altra stagione. Sarà perché quasi tutti i grandi cambiamenti della mia vita sono avvenuti in autunno. 
Ma sto divagando. 
Fa quasi paura, vero?
Pressoché tutte le tradizioni della Terra vi diranno che le “linee di confine”, sia temporali (l’alba e il tramonto, la mezzanotte, i momenti di passaggio nell’anno) che spaziali (la riva del mare, il limitare di un bosco, la soglia di casa, l’orizzonte) sono i punti privilegiati per incontrare luoghi e creature che non appartengono al mondo del quotidiano. Grazie all’antropologo Victor Turner, oggi sia gli accademici che gli occultisti li chiamano “spazi liminali”: sono i luoghi dove i nostri antenati andavano a cercare gli spiriti, a venerare le ninfe, o si imbattevano (spesso loro malgrado) nelle creature fatate. La loro importanza era tale che in molte religioni c’erano divinità specifiche a custodirli: Ecate, Giano, Heimdall, Papa Legba, l’Uomo Nero dei Crocicchi (e H. P. Lovecraft aggiungerebbe anche Yog-Sothoth…) 
Dunque, se concordate con me che l’autunno è un momento di passaggio, è anche un ottimo momento per uscire di casa e andare a incontrare i Non Umani. 
Chi ha letto (o fatto) l’esercizio di Sidewalking che ho proposto qui alcuni giorno fa a questo punto magari penserà: “Ecco, questo imbecille sta per dirci di nuovo di andare a spasso e immaginarci le cose pretendendo che sia magia”. 
Sì e no. 
Sulla natura magica delle mie “proposte”, ho già detto qui tutto quel che avevo da dire: il resto sta al 100% a voi. Tuttavia, questa volta non vi chiederò di usare la vostra mente, ma il vostro corpo.
Partiamo anche solo dal presupposto che passeggiare d’autunno è bello (quando non piove a dirotto e sembra notte alle quattro del pomeriggio). I colori sono fantasmagorici, le foglie ballano in cerchio, il vento cambia di colpo da brezza leggera a folata gelida, l’aria sa di fumo di legna, di terra scura, di muschio. L’ambiente d’autunno è un’autentica esperienza dei sensi. Ed è proprio qui che sta la comunicazione.
Scegliete un posto che vi piace e mettetevi comodi, possibilmente lontano da strade incasinate e gente che passa. Andare nel bosco e sedetevi sotto un albero, avendo cura di sceglierne uno che a prima vista vi fa simpatia; salite su una collina dove il vento spazza l’erba a ondate; se vivete vicino a un fiume, a un lago o al mare, trovate un posto tranquillo sulla riva (e se avete pure la resistenza al freddo di un tricheco potete anche togliervi le scarpe e immergere i piedi). Oppure, se non vi va di stare fermi, camminate lungo i sentieri. 
E, a questo punto, prestate attenzione
Ascoltate il sibilo del vento, il mormorio delle foglie, il gorgogliare dell’acqua. Non cercare di cogliervi un senso o suoni specifici (sotto un certo aspetto, questo esercizio è l’opposto del Sidewalking): ascoltate e basta. Toccate l’erba con le mani e sentite se è bagnata; raccogliete una foglia ed esploratela coi polpastrelli; sbriciolate un pugno di terra tra le dita. Annusate l’aria e cercate odori che non riconoscete. Respirate in profondità, non con il respiro superficiale che usiamo di solito e che impegna solo parte alta dei polmoni: respirate riempiendoli tutti, da cima a fondo. Guardatevi intorno e, se vi va, cercate le facce nella corteccia degli alberi, le forme di animali nei sassi, le figure nelle nuvole. Ci si può sentire parecchio cretini a fare una cosa del genere, vero? Eppure da bambini lo facevamo sempre e non ci sembrava stupido. 
Cucù!
Presso molte popolazioni tradizionali, dai Nativi Americani ai Sami della Lapponia, ancora oggi chi ha un problema che non riesce a risolvere può decidere di andare a camminare finché non trova un sasso che attira la sua attenzione: a quel punto lo porta a casa, gli dà una ripulita e resta a osservarlo, a studiare ogni piega della sua forma finché non coglie una risposta alla domanda che ha in mente, o un consiglio utile per la sua situazione. 
Non metto in dubbio che una cosa del genere sia al di là della portata della maggior parte di noi, ma penso che nemmeno voi metterete in dubbio che, a immergersi nell’esperienza sensoriale che ho suggerito sopra (e intendo immergersi bene, con grande attenzione), qualcosa si muoverà dentro di voi. Se volete, è una reazione fisiologica: i colori, gli odori, i suoni producono immancabilmente delle emozioni, a volte anche di intensità inaspettata. Ed ecco che, in maniera del tutto naturale, non forzata, il mondo esterno ha cominciato a comunicare con voi. Non a parole, è ovvio, ma con un linguaggio sensoriale che non farete nessuna fatica a decodificare per istinto. 
A questo punto potete fare anche il passo successivo, e aprire il canale comunicativo in entrambe le direzioni. Fate una domanda (non ad alta voce, non ce n’è bisogno), e lasciatevi andare alla risposta. Non cercate voci o strani movimenti o immagini improvvise, perché è molto probabile che non ne troverete: semplicemente, lasciate che i vostri sensi abbraccino il mondo esterno nella sua totalità, senza sforzarvi. 
Ancora una volta, io non vi garantisco nulla sul risultato che otterrete. Come potrei? Ma – e questo invece lo faccio senza timore – vi garantisco un’esperienza, nella quale la voce di Quelli che sono là fuori sarà presente che voi la riconosciate o meno. E comunque anche un “semplice” senso di pace e completezza è di per sé una ricompensa non da poco per i nostri tentativi di sentire e farci sentire da forze che sono tanto diverse da noi, e tanto più grandi. 
Le due domande che sorgono a questo punto nei miei pazienti ascoltatori tendono a essere sempre le stesse. 
Occhi aperti ;-)
La prima è: “Ma come si può comunicare realmente con cose che non sono umane, che non hanno la parola, che non hanno nemmeno i nostri sensi o la nostra percezione del mondo?” A questa si risponde facilmente: chiunque abbia un animale domestico sa bene che non servono la voce o sensi condivisi per capirsi, a volte anche in un lampo e alla perfezione. O, in maniera anche più travolgente, ricordatevi di quella volta che stavate tanto male e qualcuno a cui volete bene vi ha abbracciato, in silenzio. 
La seconda domanda è: “Ma come faccio a sapere che là fuori c’è veramente qualcuno che mi ascolta e mi risponde? Dovrei credere sul serio che intorno a me ci sono ninfe negli alberi, elfi nascosti nel muschio, nani che mi guardano dai buchi nel terreno? E, anche se credessi di sentire qualcosa, come potrei sapere che non me lo sto immaginando e basta?” 
Si può rispondere in molti modi, forse tutti corretti. La risposta che scelgo io è: se decidi che gli spiriti non sono nella natura (intesa come totalità del mondo esterno) ma solo nella tua mente, non stai generando nessun dilemma. La tua mente non fa forse parte della natura? Non ne fai forse parte tu per intero? 
E ancora: c’è tutta questa differenza tra “me stesso” e “là fuori”? Da una parte, l’intero mondo che mi circonda è solo il mondo che io percepisco, e dall’altra non potrei separarmi e tagliarmi fuori dalla dimensione della natura nemmeno se lo volessi. 
E non intendo solo la natura del mio singolo corpo: intendo la natura per intero. Se posso citare ancora una volta Jan Fries (sì, lo so che sono ossessivo), la scoperta del DNA ha rivelato che l’unione indissolubile tra tutte le creature viventi non è religione: è biologia.