martedì 29 dicembre 2015

“Prendi sto cristallo e non rompere col tuo Natale!”


E siamo arrivati agli ultimi giorni dell’anno, quando si può anche fare un po’ di bilancio. 
Il blog esiste da 18 settimane, e questo – se li ho contati giusti – è il quindicesimo post. Significa in media un post ogni 8 giorni: pensavo di andare peggio, ma forse posso fare meglio. 
Nel complesso il bilancio è abbastanza negativo: pochi ingressi, che aumentano un pochino giusto quando parlo di libri anziché di mitologia o di magia (a dimostrare quel che già sapevamo tutti, ossia che al pubblico la polemica interessa più di ogni altra cosa). 
Pace. Per ora ho deciso di continuare, e continuo. Non negherò di averci preso gusto. 

Per chiudere bene l’anno, voglio trasformare una nota amara in qualcosa di buono. 
Quest’anno ho visto calare, ancor più degli anni passati, la solita pioggia di persone che si affannano a spiegare come il 25 dicembre sia tutto meno che una festa istituita dal cristianesimo, con annesso florilegio di “buone feste pagane” che le tentano tutte, dagli auguri per il Soltizio in ritardo (sic) a quelli per i Saturnalia o la festa del Sol Invictus (che – guardiamoci in faccia – se oggi in Europa la festeggiano 100 persone è tanto), da quelli che resuscitano il compleanno del dio Mithra a quelli che, in mancanza di meglio, vanno a infilare nella data feste di dèi celebrati in tutt’altra stagione. 

Ora, i punti sono due, e due soltanto. 

1. Che il 25 dicembre e in generale tutto il periodo che lo circonda siano un momento di celebrazione antichissimo, di molto precedente a tutte le religioni monoteiste, è cosa ormai nota all’universo intero. Se ci tenete ancora a farmelo sapere, avete inventato la patata lessa. 

Anche Mithra vi augura buon Natale...
qualunque sia il suo compleanno
2. Comincio a convincermi che nella società italiana di oggi esistano basilarmente tre tipi di pagani (almeno nel rapporto con le celebrazioni tradizionali): 
- Il tipo “a coinvolgimento basso”: ha deciso che la Chiesa cattolica non gli piace e che il paganesimo moderno è più fico, ma per il resto la sua vita resta sempre la stessa, e l’idea di “ripensare” il Natale non gli passa nemmeno per la testa 
- Il tipo “a coinvolgimento incazzato”: deve fare il pagano ogni volta che può, e dissotterrare le radici precristiane di qualunque simbolo, festa, preghiera o rito per lui è una missione, il suo sacro dovere di mostrare al mondo quanto sia ladro e bugiardo il cristianesimo 
- Il tipo “a coinvolgimento rilassato”: sa perfettamente perché sta festeggiando il 25 dicembre, non gli importa granché di che nome si dia alla festa, trova molto bello che la festeggino anche gli altri (suoi correligionari o meno) e di conseguenza non rompe mai le palle a nessuno. 

Se volete potere chiamarli anche il tipo cazzaro, il tipo incazzato e il tipo scazzato. Probabilmente tutti conosciamo persone in tutte e tre le categorie, e altrettanto probabilmente sappiamo collocare noi stessi (non offenderò la vostra intelligenza specificando quale delle tre mi sembri la migliore). 
A questo punto mi voglio rivolgere a una vasta gamma di persone, che include tanto i cristiani che si affannano a dimostrare con ricerche storiche da oratorio che Gesù sarebbe nato veramente il 25 dicembre, quanto i pagani che regalano talismani di cristallo e feticci di piume chiedendo (giustamente) che si rispetti il loro dono ma si stizziscono se gli si dice “Buon Natale!” invece che “Felice Yule!”: amici miei, vi siete accorti che quel che vi accomuna è che in questo giorno del 25 dicembre state tutti FESTEGGIANDO? 
E pure festeggiando tutti le stesse identiche cose: la rinascita della luce, il ritorno della speranza, il senso fondamentale della comunità e della famiglia, l’arrivo in Terra di quella salvezza che gli esseri umani sembrano incapaci di trovare da soli. Se avvertite un bisogno disperato di etichettare tutto questo con il nome di un dio che abbia il solo copyright e possa far causa ai concorrenti, o di delineare (fuori dalla saggistica accademica) il profilo storico di un momento della vita che trascende sia la storia umana che l’individualità dei singoli uomini, allora lasciatevelo dire: avete una religiosità primitiva. 
E non nel senso del “buon selvaggio”: nel senso di rudimentale, grezza, non evoluta. 

Per me, la via d’uscita è semplicissima: fate gli auguri come volete, ringraziate di cuore di qualunque augurio vi venga fatto, salutate tutte le mille forme e aspetti del Divino che vi si presentano in questi giorni, e più di ogni altra cosa FESTEGGIATE. 
Perché siamo vivi. Perché possiamo ancora fare qualcosa. Perché non è finita. 
E perché la luce non viene in Terra in vacanza: ci viene per darci una mano. 

BUON NATALE <3

lunedì 21 dicembre 2015

Gli dèi viventi, puntata 4: Il Grande Dio Rosso dell'Occidente


Dato che stanotte sarà il Solstizio d’Inverno (sì, quest'anno è tra il 21 e il 22, dovete aspettare il prossimo anno bisestile perché si riallinei al 20-21) e tra pochi giorni è Natale, trovo appropriato spendere due parle (ma proprio due, perché l’argomento è sconfinato e la maggior parte delle cose le sapete già) su una delle divinità più amate e venerate nell’Occidente contemporaneo.
Per comprenedere la potenza e la portata del suo culto basta anche solo un elenco dei suoi attributi divini (potete anche non leggerli tutti, il discorso fila lo stesso):

- ha un abbigliamento fisso e specifico e colori sacri – il rosso, e secondariamente il bianco e il verde – che spesso anche i suoi fedeli indossano durante la sua festa 

- ha simboli universalmente riconoscibili, che durante il suo tempo sacro vengono esposti ovunque: il cappello a ponpon, la slitta, il sacco rigonfio 

- ha un tempo sacro ben preciso, che va dai primi di dicembre al giorno di Natale, e il suo culto non è mai officiato in altri momenti dell’anno 

- ha poteri divini, tra cui il volo, il dono dell’ubiquità, la conoscenza del cuore umano (sa chi si è comportato bene chi no) e la capacità di violare le leggi della fisica portando immense quantità di materia in uno spazio ridottissimo 

- è un giudice ultraterreno, con il compito – non dissimile da quello degli antichi dèi dell’Oltretomba – di distinguere chi ha fatto del bene da chi ha fatto del male e distribuire premi e castighi 


Fino a pochi anni fa il grande pubblico ignorava chi
o cosa fosse il Krampus: oggi ha invaso
anche la tv e il cinema
- ha un animale sacro, la renna, che per alcune persone è talmente associata a lui che la sola idea di mangiarla – persino in Finlandia, dove è un piatto nazionale – suscita vivo orrore (sul serio, l’ho visto coi miei occhi) 

- ha una serie di cibi sacri, che per essere tali devono contenere l’alimento più strettamente associato a lui: lo zucchero 

- ha un corteo di esseri soprannaturali che lo assitono: per alcune tradizioni sono figure gioiose identificate con elfi e gnomi, ma per altre sono veri e propri demoni tormentatori, i Krampus, incaricati di fare giustizia dei malvagi 

- in inverno la sua effige è uno degli oggetti più venduti nel mondo intero

- gli è consacrata una categoria di esseri umani, i bambini; il suo culto è officiato quasi esclusivamente dagli adulti, ma i suoi giovani fedeli spesso hanno in lui una fede adamantina

- è probabilmente il personaggio su cui sono stati fatti più film nella storia

- ha un’identità umana storicamente collocabile, san Nicola di Mira o di Bari, vissuto tra il III e il IV secolo d.C., che si è lasciato alla spalle quando ha cessato di essere un comune mortale per ascendere alla sfera del soprannaturale 

- ha un sacro luogo di pellegrinaggio, Rovaniemi in Finlandia (anche se il primato gli è lungamente conteso da altri siti come il Monte Gesunda in Svezia), con cui i fedeli che non vi si recano di persona comunicano per lettera 

- durante il suo tempo sacro gli viene eretto un altare domestico nella forma di un albero adornato a festa, e i suoi giovani fedeli si aspettato che nella “notte fuori dal tempo” lui passi di persona a visitarlo 

Il Re dell'Agrifoglio
- ci sono miti moderni che lo riguardano, da quelli profani che servono a spiegare la sua iconografia (il più famoso è quello che lo vorrebbe vestito di rosso dalla Coca Cola Company, ma è un falso) a quelli strettamente religiosi che lo collocano nel conflitto ciclico-cosmico tra il Re della Quercia e il Re dell'Agrifoglio

- è una divinità sincretica (sul sincretismo degli dèi moderni avevo scritto qualcosa qui), perché unisce elementi cristiani come il santo citato sopra con antichissime tradizioni pagane: basti ricordare, giusto per fare un esempio, che nel mito nordico tutte le sue funzioni erano coperte dal dio Odino, che girava per i villaggi con l'aspetto di un pover viandante, premiando con doni chi lo accoglieva e punendo chi lo matrattava

- ha il potere di ispirare sentimenti specifici – generosità, perdono, allegria – ed è dunque un potente simbolo della “parte più elevata” dell’essere umano, il modello a cui l’umanità (nei suoi momenti migliori) vorrebbe sapersi conformare 

- in alcuni luoghi le sue funzioni pratiche sono attribuite ad altre figure divine, come Gesù Bambino o Santa Lucia, ma in gran parte dell’Occidente rimane solo lui la vera incarnazione dello spirito del Natale 

...E la lista potrebbe proseguire a lungo. 
Al solito, questo mio discorso – come tanti altri che faccio su questo blog – potrebbe sembrare solo un gioco. E non ci sarebbe nulla di male se lo fosse. 
Ma ci sono anche livelli ulteriori. 
Nella sua accezione moderna, Babbo Natale non è altro che una delle mille forme assunte da una figura che l’essere umano conosce dagli albori della sua storia: il messaggero divino che porta luce e speranza nel cuore tenebroso dell’inverno, nel momento in cui la sopravvivenza di tutti era più a rischio. Con il suo giudizio “tra buoni e cattivi”, era la lama del destino che divideva i sopravvissuti dai morti. E, con il simbolo di abbondanza rappresentato dai suoi doni, era la promessa del ritorno del sole e del tempo in cui cibo e calore non sarebbero più stati solo un ricordo.

Ma, si chiederà parecchia gente, basta sul serio questo a fare di Babbo Natale un dio?

Non sono certo io da avere la risposta. La dialettica tra divino e simbolo è una cosa complessa, e in ultima analisi il discrimine è del tutto personale.
La nostra è un’epoca in cui la religiosità sembra regredire anziché evolvere, con da una parte fedeli che interpretano alla lettera i testi sacri perché non hanno i mezzi per decifrare nulla di scritto oltre il primo livello (“La razza umana viene da Adamo ed Eva, punto e basta: lo dice la Genesi!”) e dall’altra parte razionalisti che difendono le loro posizioni con argomenti che farebbero rivoltare Galileo nella tomba (“Dio non esiste perché i telescopi hanno dimostrato che non c’è nessun enorme uomo barbuto che vive dietro le nuvole”). 
Alla luce di tutto ciò, anche come comportarsi nei confronti di questo Odino moderno vestito di rosso è una scelta individuale. Ma non crediate che sia priva di conseguenze.

giovedì 17 dicembre 2015

Il rocchetto di madreperla e Mondo in fiamme


Parliamo ancora di libri.
Nell’ultimo periodo pare sia tornata di moda – se mai si fosse sopita negli ultimi 8-10 anni – la vecchia tiritera ignorante che il fantasy italiano fa schifo al cazzo e gli autori italiani sono una massa di poveri incapaci montati dal primo all’ultimo. 
Io al “dibattito” – le virgolette sono quanto mai d’obbligo, perché la questione il nobile nome di dibattito non se l’è mai meritato neanche da lontano – non ho mai partecipato né in pubblico né in privato, se non nell’unica forma che ritengo perfettamente sensata: consigliare in sincerità i libri e gli autori che più mi sono piaciuti, senza proporre analisi (che non mi competono) e senza sciogliermi in compiaciute stroncature (che non mi interessano). 
Chi mi segue, peraltro, sa benissimo che faccio esattamente la stessa cosa con gli autori stranieri. A casa mia non è né è mai stata una questione di nazionalismo, ma solo di bei romanzi. A costo di ripetere per la millesima volta un’ovvietà atroce, ci sono bei libri e brutti libri in tutte le lingue. E allo stesso modo ci sono autori italiani bravi e autori italiani scadenti, fantasy italiani bellissimi e fantasy italiani disastrosi. 
Oggi dunque spendo due parole su due libri italiani che ho letto nelle ultime settimane – per caso uno di fila all’altro – e che mi sono piaciuti alquanto: Il rocchetto di madreperla di Chiara Strazzulla (Einaudi) e Mondo in fiamme di Edoardo Stoppacciaro (La Corte). 
Gli autori li leggo entrambi per la prima volta, e sono tutti e due mie conoscenze (Chiara solo on line, Edoardo anche di persona per pochi preziosi minuti alla scorsa Lucca): se pensate – come va di gran moda pensare – che questo infici il mio giudizio sul loro lavoro, be’, a me non frega un beneamato. Sì, questi due mi sono simpatici anche come persone: ora lo sapete, valutate voi di conseguenza. 
I loro sono due libri quanto mai diversi, per genere di fantasy come per stile come per tematiche, e anche per questo è stato strano e bello leggerli di seguito. 

Il rocchetto di madreperla è un fantasy storico di ambientazione vittoriana, che si muove tra Londra e Venezia per raccontare la storia di uno sfrontato, sarcastico, intelligentissimo aristocratico inglese che sfida il Diavolo a una partita di bridge e gli vince il solo mezzo al mondo capace di salvare la vita del fratello malato di tisi. Se non fosse che, anni dopo, per il Diavolo la partita non è ancora chiusa. Un tema classico, sicuramente, ma per una volta trattato con sviluppi niente affatto facili da prevedere. 
È un romanzo intensamente atmosferico, dal ritmo solenne, che non va assolutamente letto di fretta. Ci sono libri che ti agguantano per il collo e ti trascinando di corsa con loro, e libri che ti aprono la porta come un compassato maggiordomo e ti accompagnano in una visita densa e completa dell’intera magione: Il rocchetto di madreperla appartiene al secondo gruppo, e il favore più grande che il lettore può farsi è lasciare che le sue pagine lo portino via con i loro tempi. Per conto mio, non credo di aver mai letto una rappresentazione così vivida, intensa e credibile della società vittoriana da parte di un autore non inglese: di sicuro, mai in un fantasy italiano. 
Ma la cosa che rimane in mente, che più esce dalle pagine sono i diavoli (che stavolta non chiamerò demoni, anche se è considerato un termine più fico, ma proprio diavoli, perché questo è il nome più appropriato per loro). 
I diavoli di Chiara Strazzulla non hanno né artigli né corna né lingue di fuoco, eppure sono mostri come se ne trovano pochi là fuori. Solidi e concreti quanto le persone che incontriamo nei nostri sogni (ovvero totalmente, se visti dalla giusta angolazione), capaci di far collassare il confine che separa il mondo del quotidiano dalla dimensione degli incubi e delle visioni, educati come eterni gentiluomini, pazienti come ragni, trasformisti come gli dèi trickster delle vecchi mitologie, e nello stesso tempo gonfi di un potere talmente enorme che il solo pronunciare ad alta voce il loro nome può provocare sconvolgimenti nella realtà. 
Talmente ben riusciti, insomma, che pur sapendo benissimo “da che parte stavano” io non sono riuscito a non tifare per loro. 

Dall’altra parte c’è invece Mondo in fiamme, un fantasy classico sull’aria delle atmosfere di Martin. E se dico – cosa che chiunque mi segue sa già – che a me Martin non piace per niente ma questo libro mi è piaciuto eccome, e ci aggiungo pure che di fantasy classici ormai da anni ne leggo pochissimi perché su quel fronte la noia tristemente ha vinto, credo di stare dando una buona misura del mio apprezzamento. 
Riassumere la storia in poche parole non è facile, ma vi dirò che ci sono due regni reduci da una guerra orrenda e già sull’orlo di un’altra, sovrani corrosi dal loro stesso potere, spiriti inquieti di un mondo che non esiste più, una compagnia mercenaria costretta a una missione che può finire davvero male e un tesoro maledetto che va disperdendosi pian piano per il mondo quando sarebbe tanto meglio che tornasse là dove era sempre rimasto sepolto. 
A prima vista Mondo in fiamme potrebbe sembrare un grimdark, ma non lo è. Non per me, almeno. Tutti quegli elementi che a me rendono il grimdark un sottogenere alquanto inappetibile – poca magia, truculenza adolescenziale, militarismo e politica in dosi industriali – qui non ci sono, o, quando ci sono, l’autore li impiega in maniera intelligente. La magia c’è, ma non è pirotecnica, eppure aleggia costantemente su tutta la storia, o meglio ancora ribolle al di sotto, preparandosi a traboccare nel momento peggiore. La violenza c’è, ma ha sempre un suo senso, a volte anche dolorosamente sociologico. Come c’è la politica, che tuttavia serve strettamente allo sviluppo della storia, e lo serve egregiamente. 
La stesura ogni tanto è un po’ ingenua – so che Edoardo non me ne vorrà se lo dico, è il suo primo libro – ma solo ogni tanto: per contro, ci sono alcuni passaggi davvero potenti. E comunque se tutte le opere prime fossero come questa vivremmo in un mondo strepitoso: i personaggi sono interessanti, ti fanno venir voglia di sapere cosa gli succederà poi, la storia procede spedita, e in più io sono rimasto colpito – non saprei nemmeno dire perché – dallo sfondo geografico della vicenda. Con i suoi boschi nebbiosi, i suoi laghi gelidi, le sue montagne nere, le sue città arroccate dalle stradine in salita Mondo in fiamme mi ha lasciato una serie di vivide, intense impressioni visive, un senso inquietante di natura primordiale ed estranea, che va ad aggiungersi ai meriti di una storia di cui leggerò senza dubbio il seguito (quello uscito per ora è solo il primo volume). Ripeto: se tuti i romanzi d’esordio fossero così, ci sarebbe da firmare col sangue.

Ecco: se siete in ritardo con qualche regalo di Natale, uno di questi due libri potrebbe servire egregiamente alla causa. Believe me.

mercoledì 9 dicembre 2015

THE SHAMAN: un corto che lascia a bocca aperta


Due giorni fa mi è capitato sotto gli occhi quello che è, senza ombra di dubbio, il corto più stupefacente che io abbia visto da anni a questa parte. Onestamente, è più bello di tanti film "veri".
Chiaro che l'argomento mi tocca particolarmente ed è possibile che questo abbia influenzato il mio giudizio, ma in tutta sincerità io lo considero solo un valore aggiunto. 

Non vi dico di cosa parla, perché la storia – come ogni buona storia – si spiega perfettamente da sé. Il mio consiglio è soltanto: GUARDATELO. 
In soli 17 minuti (in realtà poco più di 15, il resto sono i credits finali) vi racconterà una storia di violenza e spiritualità, di scelte e di conseguenze, di Spiriti ingannatori, di macchine devastatrici e di tecno-sciamani che hackerano la Realtà. La ricchezza di dettagli sia visivi che narrativi è mind-blowing: c'è persino un riferimento (intenzionale?) alle teorie sull'uso degli strumenti a corda al posto dei tamburi nell'antico sciamanesimo euroasiatico. Io per poco non ho applaudito da solo nella mia cameretta. 
L'unica possibile controindicazione per gli spettatori non anglofoni è che la sola versione che ho trovato ha i sottotitoli in varie lingue - inglese incluso, chiaramente - ma non italiano (li potete attivare cliccando sul tasto CC in basso a destra del filmato). Se qualcuno dovesse reperire una versione sottotitolata in italiano la segnali pure! 


Marco Kalantari

L'autore di questo piccolo capolavoro – che quest'anno è stato presentato anche al Tribeca Film Festival – è Marco Kalantari, un giovane regista austriaco di cui non avevo mai sentito parlare ma del quale ora cercherò senza dubbio gli altri film. 

Se a questo punto siete printi alla visione, cliccate sull'immagine in calce e... buon viaggio nel Mondo Inferiore *_*

(Un ringraziamento sentitissimo va a Filippo Tapparelli, che per primo me lo ha segnalato: thanks, bro!!)


https://vimeo.com/146865820