venerdì 22 dicembre 2017

“Una volta, come regalo di Natale mi piacerebbe ricevere un libro di magia scritto da te”


Questa me la sono sentita dire di recente (non è strano, visto il periodo dell’anno). Come formulazione è un po’ diversa dal solito, lo ammetto, ma il concetto non lo è per nulla. 

In altre parole, se mi si fossero materializzati in tasca 10 centesimi ogni volta che mi hanno chiesto “Ma perché non scrivi un libro di magia?” vi inviterei tutti a cena (in pizzeria, eh, non aspettativi posti di lusso). 
Negli anni ho dato risposte variabili ma tendenzialmente ricorrenti, tuttavia non mi sono mai soffermato a sistematizzarle. Lo farò questa volta, per una ragione ben precisa che spiegherò alla fine. E sotto a ogni motivo voglio indicare anche l’obiezione più frequente che di solito fa il mio interlocutore. 
A conti fatti, le ragioni per le quali non ho mai scritto e non intendo scrivere un libro sulla magia contemporanea sono quattro: 

1. La magia non esiste 
O perlomeno questa è la posizione di un numero preponderante di persone della nostra società. Scrive un libro di magia e diffonderlo presso il pubblico – in una forma o in un’altra – significa automaticamente esporsi a discussioni infinite e quasi di certo inconcludenti con i più svariati esponenti delle più svariate linee di pensiero. Avete una vaga idea del quantitativo di tempo, pazienza, energie mentali ed emotive che tutto questo comporterebbe, perdipiù a fonte del fatto che sarebbero per la quasi totalità energie sprecate? Io ce l’ho, ed è per questo che dalla sua riapertura quest’anno il mio blog non ha più uno spazio per i commenti e le discussioni. 
Giusto la settimana scorsa una mia amica, autrice di un articolo accademico su argomenti storici, si è vista attaccare (in anonimo, guai a metterci la faccia) da gente che sosteneva che i testi scientifici da lei citati non esistono e il materiale lei lo aveva copiato dal sito di queste persone. Avete letto bene: testi accademici citati con cura e perfettamente recuperabili su Amazon per alcune persone non esistono. Questo è il livello medio di qualunque discussione pubblica nel 2017 d.C. 
Per quanto mi riguarda, è verissimo che sono diventato un bastardo saccente e irrazionale che non accetta il dialogo. Ma lo sono diventato per autodifesa. 

Obiezione: “Nessuno ti obbliga a rispondere a chicchessia. Puoi benissimo scrivere il libro e poi sbattertene di chi ha voglia di discuterci sopra.”  


2. Detesto i maghi 
Non tutti e non indiscriminatamente, è ovvio. Ma ne detesto la maggior parte, e a ragion veduta: i maghi sono molto spesso presuntuosi, vanitosi, arroganti, attaccabrighe, saccenti, vendicativi e condannati a un bisogno spasmodico di avere sempre ragione (insomma sono tali e quali agli scrittori). E tutto questo vale tanto per i maghi postmoderni quanto per quelli più “classici”, tanto per i maghi intelligenti e preparati quanto per quelli stupidi e ignoranti (chiaro che la saccenteria dei secondi è ancor più irritante di quella dei primi), tanto per i maghi italiani quanto per quelli del resto del mondo (ma mi sono convinto che in Italia sia un po’ peggio che altrove…), tanto per i maghi solitari quanto per quelli che fanno gruppo (quest’ultimo caso lo posso tristemente estendere anche alle comunità religiose neopagane, che evito di frequentare se non per contatti sporadici, ma lì il discorso sarebbe più complesso). 
Se pubblicassi un libro di magia, lo leggerebbero (anche) i maghi. E si aprirebbero le cateratte di un torrente di “Questo autore è un ignorante: perché non ha citato questa fonte o quest’altra?” “Questo autore è uno stupido: non ha capito nulla di come funzionano le cose!” “Questo autore è un criminale: divulga segreti pericolosi!” “Questo autore è un presuntuoso: parla di cose che non conosce!” “Questo autore è un povero coglione: non è iniziato ai Segreti Segretissimi dei Misteri Misteriosi dell’Unico Inimitabile Lignaggio Magico Valido al Mondo!” eccetera…
In altre parole, (quasi) ogni mago vedrebbe il mio libro – e non perché sarebbe il mio: è così per i libri di chiunque – come un trampolino da usare per far risaltare se stesso e il proprio sapere superiore. 

Obiezione: “Stesso discorso che al punto uno: puoi ignorare e tirare dritto. Con in più il fatto che non lo scriveresti per i maghi che vogliono farlo a pezzetti: lo scriveresti per chi davvero vuol sapere che cosa hai tu da dire su queste cose.”  


3. Il mondo è già sommerso dai libri sulla magia moderna 
Per davvero, sono migliaia e migliaia. La nostra epoca è il sogno più folle (o il peggiore incubo) di qualunque stregone dei secoli passati. Provate a cercare solo su Amazon, anche limitando il campo ad argomenti specifici come, che so, la Chaos Magic o la magia cerimoniale o l’uso magico delle rune. Se guardare la bibliografia di questo blog, troverete più di venti titoli sull’argomento (e un’altra ventina sullo sciamanesimo contemporaneo). Che sono solo una piccola parte dei libri che ho letto. Che a loro volta sono un frammento minuscolo di tutti quelli che troverete facilmente reperibili e che vengono scritti in continuazione. 
Sul serio, non avete bisogno di imparare la Chaos Magic (o altri generei di magia) da un mio libro: se non avete voglia di leggere, ci sono blog a iosa che la spiegano, per non parlare dei tutorial su Youtube. Potete imparare gratis persino da un adorabile fumetto
È vero – è infatti spesso me lo fanno notare – che un libro scritto da me sarebbe diverso da un libro scritto da Tizio o da Caio, perché in un campo come questo ogni autore mette moltissimo di se stesso, delle sue esperienze e del suo pensiero, e quindi in fin dei conti ogni singolo libro di magia è un caso a parte, anche se tratta di argomenti già trattati altrove. A questo voglio rispondere con le parole di uno dei miei maghi preferiti, Christopher Penczak, che nell’introduzione a un suo libro in cui ricorda i suoi trascorsi da studente wiccano dice (la traduzione è mia): 
A metà degli anni Novanta, finii addosso a quello che oggi chiamo con affetto il “Muro della Wicca”. Si tratta di una comprensione a cui arrivano in molti: il fatto che esiste un numero limitato di libri di magia, libri sulla Ruota dell’Anno, libri sulla ritualità della luna e via dicendo che una singola persona può leggere prima di uscire di testa o morire di noia. Anche se oggi posso capire molto bene l’impulso che porta qualunque autore a voler scrivere un testo di introduzione dalla magia – dato che ciascuno di noi sente di avere qualcosa di rilevante e unico da dire – quando quel mondo è tutto tutto quel che possiedi (e io mi sentivo così all’epoca) devi per forza cercare ispirazione altrove. 
(Christopher Penczak, The Mighty Dead, pag. 21) 
Non credo di avere nulla da aggiungere. 

Obiezione: “Il 99% dei libri di cui parli è in inglese o in altre lingue. In italiano al momento non c’è quasi nulla (su alcuni argomenti specifici proprio nulla). Quelle cose le vogliamo leggere anche noi non anglofoni.”  


4. E una volta che l’ho scritto? 
Quale casa editrice non piccolissima oggi in Italia si metterebbe in testa di pubblicare un manuale pratico di magia postmoderna? 

Obiezione: “Luca, non fare il coglione. Siamo alle soglie del 2018: chiunque può rendere pubblico e diffondere qualunque testo. Hai pure un ventaglio di possibilità tra cui scegliere”. 


Morale di tutto questo discorso? 
Ogni volta che mi chiedono di scrivere un libro di magia rispondo che no, non intendo farlo, ma… 
Ma non ho una buona risposta alle quattro obiezioni. Posso mettere insieme risposte parziali e circostanziali, ma nessuna che faccia tacere realmente l’obiezione. 
E la goccia, si sa, scava la pietra…

venerdì 15 dicembre 2017

Un po’ leone, un po’ formica


Era un mese e mezzo che non scrivevo nulla qui sul blog, un buco lungo anche per i miei standard. 
Mi piacerebbe dire che c’erano dietro ragioni importanti e affascinanti, ma la verità è che nel corso di novembre avevo poca voglia, ancor meno tempo e – dettaglio non indifferente – non riuscivo a decidere di cosa avrei dovuto parlare. Siamo sotto Natale, il momento in cui tutti più o meno parlano di quello (e l’ho fatto spesso anche io negli anni passati), ma avevo in mente anche tante altre cose magari più interessanti… 
L’indecisione è sempre stata una mia caratteristica, con cui ho dovuto fare i conti per tutta la vita. Ma adesso che mi trovo ad attraversare una vera fase di cambiamento e ho la sensazione di stare emergendo da un’allucinazione che ha condizionato pesantemente tutto il mio ultimo decennio, mi sorprendo a guardare con occhi diversi anche la mia stessa incapacità di decidere in maniera rapida e univoca. E, giocoforza, anche uno dei suoi simboli, al quale sono sempre stato particolarmente legato: il mirmicoleone

La prima immagine che troverete
cercando il mirmicoleone su Google
Per chi non lo sapesse – ma non ci credo che non lo sapete! – il mirmicoleone è un animale immaginario che appariva ogni tanto nei bestiari medievali (se volete sapere quali e che cosa ne dicevano guardate su Wikipedia, non fate spiegare tutto a me, vi prego!) Essendo figlio di un leone e di una formica – e so che adesso l’immagine mentale di questo bestiale amplesso acrobatico non vi lascerà più in pace: benvenuti nel club… – aveva la metà anteriore da leone e quella posteriore da formica. Ho sempre pensato che sarebbe bellissimo vederlo correre. 
In ogni caso, siccome la brava gente del medioevo per contratto doveva vedere simboli e significarti reconditi anche nei ghirigori del brodo, ci viene detto che il mirmicoleone stava a simboleggiare l’indecisione, perché non sapeva se nutrirsi di carne secondo le abitudini alimentari paterne o d’erba secondo quelle materne, e finiva per morire di fame. Troverete questa spiegazione in pressoché qualunque testo sull’argomento (non che ce ne siano molti, intendiamoci). 
Ebbene, io la considero il più sciocco dei travisamenti.

Tanto per cominciare, chiunque avesse voluto mettere insieme una chimera condannata a rapida morte unendo un carnivoro e un erbivoro avrebbe potuto fare cento scelte più ovvie, o più facilmente comprensibili sul piano simbolico, o persino più divertenti. Fate la prova con i vostri amici: a turno, mescolate animali diversi per produrre lo sgorbio con i peggiori problemi alimentari (o locomotori, o riproduttivi) che riuscite a escogitare. È un buon giochino per i lunghi viaggi in macchina, garantito! 
Ma il leone e la formica differiscono per molti più aspetti che per la dieta. Volendo citare solo i primi che vengono in mente: il leone è grande (nel simbolismo è addirittura sinonimo di enormità e potenza), la formica è piccola (e sinonimo di piccolezza); il leone è un sovrano maestoso, la formica è un trascurabile paesano; il leone se apre bocca lo sentono tutti, la formica non la sente nessuno; il leone è un pilastro di unicità, la formica è un numero sui milioni; il leone ottiene le sue conquiste da solo grazie alla sua grandezza personale, la formica ottiene qualunque cosa solo in gruppo, grazie alla cooperazione senza volto. 
Avete capito dove voglio andare a parare, no? 
Che ci piaccia o no, siamo tutti mirmicoleoni. Una metà di noi desidera – e lo desidera davvero, spasmodicamente, non per modo di dire – essere il re degli animali. Primeggiare. Conquistare. Essere indicato e ammirato e incutere timore. Lasciare il suo marchio nel mondo. Conoscere le magie che violano le regole e cambiano i destini. Avere successo, energia, ricchezza interiore ed esteriore e un harem di leonesse. 
Il mirmicoleone infesta anche Deviantart
L’altra metà desidera essere contenta delle briciole. Amare le abitudini e le strade note. Sentirsi parte di un grande insieme, o di una piccola famiglia. Cercare pace nel silenzio e nell’anonimato. Ottenere con la pazienza. Conoscere le magie che aggirano le regole e risolvono i problemi quotidiani. Trovare minuscole ricchezze e viverle come grandi tesori. 
Non è solo un fenomeno individuale, anche la società lancia in parallelo entrambi gli impulsi: da una parte “O sei uno o sei zero”, “Se vuoi vincere comportati da vincente”, “No pain no gain” eccetera; dall’altra “Quel che dicono gli altri non ha importanza”, “Sii solo te stesso e vai per la tua strada”, “La ricchezza delle piccole cose” e così via. 
Ora, le due metà del mirmicoleone possono gestirsi a vicenda in molti modi: dialogando, litigando, raggiungendo compromessi, fingendo di ignorarsi, dandosi i turni per chi deve mangiare per prima e via dicendo. Ma c’è una cosa che non possono fare, ed è separarsi e andarsene ciascuna per i fatti propri.

Alcuni giorni fa ero a un concerto di un cantante famoso. Io formica persa nella folla, lui leone che ruggiva dal palco. Inevitabilmente, mi sono sorpreso a domandarmi: “Vorresti essere al suo posto? Ti piacerebbe aver ottenuto dalla vita tutto quel che ha ottenuto lui? Saresti più felice se portassi anche tu la sua corona?” 
E, altrettanto inevitabilmente, le risposte sono state “Sì” e “No”, pronunciate dal mio cervello in perfetto unisono e allo stesso identico volume. Nessuna più potente dell’altra. Nessuna risolutiva. Simmetriche, come due occhi per guardare il mondo o due mani per toccarlo e provare a cambiare qualcosa. 
Ma, vedete, con due mani si lavora meglio che con una sola. 
Almeno per me, il mirmicoleone non è un modo per morire: è un modo per vivere.