Nelle ultime settimane mi è capitato di venir coinvolto, in parte on line ma soprattutto dal vivo, in alcune interessanti discussioni sul rapporto tra scienza e magia nel mondo di oggi. A me questo genere di scambio fa sempre un immenso piacere, anche se il più delle volte finisce per farmi detestare un po’ da tutti: in sostanza, gli scienziati mi mandano a quel paese perché parlo loro di magia, e i maghi mi mandano a quel paese perché parlo loro di scienza.
Quindi ora farò un discorso – temo non brevissimo, perdonatemi! – con cui conto di riuscire ancora una volta a conquistarmi una dignitosa dose di vaffanculo da più parti.

Discorso che in realtà si può riassumere in un enunciato:
sarebbe decisamente ora di gettare nel cassonetto la vecchia, logora distinzione-opposizione tra scienza e magia.
È figlia del pensiero positivista, aveva un senso e uno scopo alla sua epoca. Oggi non ne ha più, anzi all’atto pratico è persino dannosa.
Per spiegarmi meglio, devo partire ricordando che la gente spesso confonde la scienza con la tecnologia, a volte usando pure le due parole come se fossero sinonimi. Nei discorsi di tutti i giorni non è un peccato capitale (lo faccio anch’io), ma concettualmente rimane un errore: la scienza è lo studio sistematico e razionale delle regole che fanno funzionare la nostra realtà, la tecnologia è un insieme di soluzioni materiali sviluppate per risolvere problemi di natura pratica.
Nessuna delle due ha intrinsecamente bisogno dell’altra per esistere, anche se la seconda è sempre riconducibile alla prima. In sostanza: la scienza può esistere anche solo come studio teorico della realtà (e di fatto a volte è così), senza bisogno di produrre applicazioni tecnologiche. Parallelamente, la tecnologia si può sviluppare anche su basi empiriche, senza uno studio scientifico alle spalle, anzi anzi è proprio come è andata per gran parte della storia umana. La scienza come noi la conosciamo ha cominciato a produrre tecnologia solo da pochi secoli (più o meno quattro, a volerla fare proprio lunga): prima le soluzioni tecnologiche nascevano solo dall’osservazione esterna del mondo, dagli esperimenti pratici, dal cosiddetto metodo “per tentativi ed errori”.
Questo non significa affatto che la tecnologia pre-moderna non funzionasse, o non avesse la capacità di arrivare a soluzioni geniali: il mulino, il cemento, l’acciaio e la polvere da sparo sono tutte invenzioni nate su base empirica (giusto le prime che mi sono venute in mente), che la scienza moderna ha potuto analizzare solo post eventum. Il punto semmai è che oggi, procedendo dalla teorizzazione e dall’analisi scientifica all’applicazione tecnologica, e non viceversa, quest’ultima diventa immensamente più veloce e molto più facilmente correggibile.
Cosa c’entra tutto questo con la magia?
C’entra perché, molto semplicemente, la magia è una tecnologia.
O meglio è una tékhne: una tecnica (o un insieme di tecniche) che gli esseri umani di tempi lontani hanno sviluppato empiricamente per tentare di risolvere problemi pratici, che a volte coincidevano con quelli risolti dal altre forme di tecnologia e a volte erano di tipo completamente diverso. Allo stesso modo della tecnologia propriamente detta, è nata dall’osservazione della realtà, dall’esperimento pratico, dall’evoluzione “per tentativi ed errori”, e ha sempre avuto tutti i limiti di questo tipo di progresso umano: la lentezza, l’affidabilità altalenante, gli ostacoli alla riproduzione, la necessità di correggere costantemente.

E, come le tecnologie di cui parlavo sopra,
può essere oggetto di analisi scientifica.
L’esempio tipico per eccellenza è una storiella che conosciamo tutti (riassunto distillato di fatti accaduti davvero, ben più di una volta): lo stregone di una popolazione primitiva, con erbe e rituali, prepara una pozione che cura la febbre per i membri della sua tribù. Arriva lo scienziato, prende un campione della pozione, lo analizza, isola i principi attivi contenuti nelle erbe e produce un farmaco che può essere usato anche da chi non vive nella tribù dello stregone.
Sia la pozione che il farmaco sono applicazioni tecnologiche, la prima su base empirica, la seconda su base scientifica. Il principale vantaggio della seconda è che in questo caso è possibile eliminare elementi non strettamente necessari – i rituali – e accelerare il processo di produzione. Ma è fondamentale notare che la seconda applicazione non sarebbe stata possibile senza la precedente esistenza della prima.
Di solito è a questo punto del mio discorso che arrivano le prime proteste.
Quelle degli scienziati suonano più o meno: “Luca, tesoro, lo stregone del tuo esempio faceva uso di principi chimici anche se non lo sapeva, e la chimica è una cosa reale, dimostrabile. I maghi di cui parli tu sostengono di poter influire su elementi casuali della vita umana come la fortuna e la sfortuna, di leggere nel pensiero, di uscire dal proprio corpo, di comunicare con entità la cui esistenza non è in alcun modo verificata. Ma la realtà non funziona così”.
Quelle dei maghi e degli occultisti (che, va detto, tendono a essere meno educate) suonano più o meno: “Luca, che cazzo dici? La scienza è piena di limiti, è acciecata dalla sua fede in se stessa. La realtà è molto più grande di così, è fatta di magia e la scienza non riuscirà mai a toglierle il suo mistero, il suo fascino, la sua meraviglia”.
Orbene, questo è il momento in cui spiego una volta per tutte la mia posizione. Ma per farlo mi serve un piccolo passo indietro.
Io, che a modo mio sono uno stregone del mondo post-moderno, nella vita di tutti i giorni non ricorro mai alla magia se ho già sotto mano una soluzione tecnologica nel senso comune del termine (o meglio, qualche volta lo faccio, ma solo a titolo di esperimento, se sono curioso di vedere cosa succede).
Tre esempi pratici (e reali), in ordine di difficoltà crescente.
Se sono a casa mia e mi viene mal di testa, non cerco un incantesimo per farmelo passare: prendo un Moment. Mi sembrerebbe assurdo fare il contrario. Se però mi viene mal di testa mentre sono fuori, non ci sono farmacie in vista e non potrò tornare a casa prima di varie ore, allora uso un incantesimo per farmelo passare. Anche qui, mi sembrerebbe assurdo fare diversamente: se conosco una magia che lenisce il mal di testa (in effetti la conosco) e non ho pastiglie in tasca, la uso, punto e basta.
Se la mia macchina fa i capricci, la porto dal meccanico e le faccio fare una revisione, non un esorcismo. Ma se la macchina mi si ferma di botto in mezzo al nulla, di notte, magari mentre sta piovendo, se conosco un incantesimo per farla ripartire ovviamente lo tento, prima di chiamare un carro attrezzi e spendere una barca di soldi per farmi rimorchiare a casa (l’ho fatto una volta, e ci sono riuscito).
Se è un periodo che non riesco a trovare abbastanza lavoro, al di là del fare ricerche costanti e mandare curricula a pioggia non mi vengono in mente soluzioni scientifiche atte alla bisogna. Una mia amica si è trovata di recente in questa situazione, e ha deciso di usare la sua magia: ha cercato un incantesimo appropriato, lo ha trovato, lo ha messo e in atto e dopo un paio di mesi ha dovuto cominciare a rifiutare i lavori che le proponevano, tanti ne sono arrivati.
Il motivo di tutto questo è semplice: se ho un problema, per risolverlo io uso la migliore tra le tecnologie che ho a disposizione in quel momento.
E adesso sono finalmente pronto a rispondere alle proteste di cui sopra (anche perché sto blaterando da un po’ troppo…)
Agli scienziati rispondo: non sarebbe strepitoso avere una tecnologia che guida la fortuna? O un metodo sistematico per viaggiare in forma extracorporea? O provare l’esistenza e la raggiungibilità di intelligenze non umane che vivono accanto a noi? O scoprire che i rituali di quello stregone primitivo in qualche modo cambiano realmente qualcosa nella chimica delle sue erbe, rendendole persino più potenti del farmaco di laboratorio? C’è chi sostiene che le cose stiano così: si può andare a vedere, come si è andati a campionare la pozione dello stregone.
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E' questo che vi fa paura, eh?? |
Sì, lo so che spesso già lo fate, quando è possibile (con i limiti materiali del caso, in testa a tutti la scarsità di fondi per la ricerca, come mi ripetete sempre). Lo so che a far così tante volte si smette di essere accademici per diventare gli scienziati pazzi dei film, e questo l’accademia non lo perdona. E lo so che per ipotizzare la realtà di gran parte di questi fenomeni servirebbe un cambio di paradigma piuttosto radicale rispetto alla visione dell’universo che abbiamo oggi (anche se meno radicale di un tempo, dopotutto siamo nell’era della meccanica quantistica). Ma concorderete con me – e so che lo fate – che i fondi e i preconcetti sono problemi pratici a cui serve trovare una soluzione, non scuse per lasciar perdere la ricerca.
Parimenti, agli occultisti rispondo: la scienza non è il nemico, e non lo è mai stata nemmeno quando credeva lei stessa di esserlo. Gli scienziati non sono Uomini Grigi venuti a risucchiare via tutta la meraviglia dell’universo, o mostri che vogliono riprogrammare la mente dell’umanità secondo schemi di loro scelta (ok, qualcuno lo è, ma ogni cesto ha le sue mele marce): sono solo persone che cercano risposte. La scienza non è nient’altro che un’estrinsecazione del desiderio umano di sapere, di capire, di rivelare e quindi di poter agire. La magia, guarda caso, è la stessa cosa: il tentativo di capire, per la pura curiosità come per il bisogno di sentirsi meno impotenti come per l’impulso fondamentale che ci costringe a cercare il nostro posto nel grande ordine delle cose.
E il momento in cui si arriva a comprendere un meccanismo, a vederlo dispiegarsi, a farlo funzionare, non è la morte della meraviglia: è la sua nascita.
Nel mio piccolo, io sono convinto che qui ci sia un’importante doppia lezione da imparare. Alcuni maghi (non tutti per fortuna*) possono – e dovrebbero – imparare dagli scienziati l’umiltà davanti al reale, quell’atteggiamento che ti permette di accettare che alcune regole non sono aggirabili, che non c’è nulla di orribile nell’interrogare i misteri e che tutto (probabilmente) può essere meglio compreso. Alcuni scienziati (di nuovo non tutti per fortuna) possono – e dovrebbero – imparare dai maghi che la scatola cranica si può aprire, che i metodi possono espandersi (lo hanno sempre fatto) e che la fantasia, al pari dell’immaginazione e dell’inventiva, può essere uno straordinario motore di conoscenza.
Insomma, servirebbero più scienziati pazzi e più maghi sani.
Ne avremmo da guadagnare tutti.
* Ad esempio, date un occhio a The Octavo di Peter J. Carroll (Mandrake of Oxford, 2011) se volete uno scorcio della mente di un mago contemporaneo che pensa come un fisico (con tanto di incantesimi esplicitati in forma di equazioni)