L’intervento di Stefano Sormani sotto il mio post di qualche giorno fa sul Sidewalking (lo trovate qui,
nei commenti) mi ha fatto rendere conto che, se continuerò a parlare di
magia in questo blog, inevitabilmente mi verrà rivolta ancora e ancora
una domanda semplice da formulare e forse non così semplice da
sciogliere: ma alla fin fine che cos’è la magia?
In particolare Stefano, a proposito del Sidewalking, osserva:
Non capisco dove sarebbe la magia nell'intrattenersi durante una camminata lasciando un po andare la fantasia.
E
in un commento successivo, mescolando il discorso sulla magia con
quello sugli dèi (che sono due discorsi diversi, ma io per primo non li
considero scollegati):
Per come la vedo io, il mondo è abbastanza magico così com'è senza dover dare ad ogni fenomeno un patrono umanizzato che lo gestisca. Le formule magiche esistono davvero, matematica e fisica e chimica non sono altro che quello, ma proprio come quelle dei racconti richiedono anni di studi e sacrifici per esser comprese ed utilizzate mentre tutti vogliono la via facile, la magia alla Harry Potter, in cui ti basta dire due parole di cui non sai nemmeno il significato per piegare il mondo al tuo volere.
È un
intervento che mi piace molto, contiene spunti sui quali si potrebbe
andare avanti a parlare per un anno intero. Ma, per limitare
necessariamente il campo (almeno per il momento), atteniamoci solo alla
questione di come si definisce la magia.
Aleister Crowley |
In base a questa
formulazione, si tratterebbe di una scienza in qualche modo superiore
alle altre il cui scopo è fare esattamente quello che fanno tutte le
altre scienze “non magiche”: dare all’uomo una misura di controllo sul
mondo di cui fa parte.
Dubito che qualunque persona di buon senso si accontenterebbe di questo.
La
definizione più comunemente utilizzata (ma non universalmente
accettata) dai maghi di oggi è quella data dal celeberrimo mago Aleister Crowley, secondo il quale la magia è “la scienza e l’arte di provocare cambiamenti in maniera conforme alla volontà”.
La
prima reazione di quasi tutti davanti a queste parole suona più o meno:
“Ma allora che differenza c’è tra la magia e una qualsiasi altra forma
di azione? Il mio cellulare è magico perché mi permette di produrre un
cambiamento, ossia comunicare con qualcuno, quando voglio farlo?”
Crowley stesso ha risposto a questa domanda (o a una molto simile,
considerato che nel 1913 non c’erano i cellulari) nella sua opera
principale, Magick, in termini che a me paiono abbastanza inequivocabili:
Si può definire operazione magica qualunque evento naturale portato in essere dalla volontà. Da questa definizione non vanno escluse l’attività bancaria o la coltivazione delle patate. Ecco un esempio molto semplice di arte magica: soffiarsi il naso.
Queste
tre frasi nel corso dell’ultimo secolo hanno provocato reazioni ancor
più scomposte della definizione precedente. C’è chi ha concluso – e
conclude tuttora – che dunque la magia non esiste, o non si differenzia
in alcun modo dalla scienza; chi ha deciso che la magia magari esiste ma
di fatto non serve a niente, se le stesse cose che farebbe un
incantesimo si possono ottenere con mezzi “mondani”; chi si è incazzato e
ha rifiutato tout court questa definizione e qualunque altra che le
somigli anche solo di striscio.
Di
sicuro Crowley si sarebbe detto perfettamente d’accordo che le formule
della matematica, della fisica e della chimica siano formule magiche a
tutti gli effetti, e che producano proprio quel che la magia si è sempre
prefissa di produrre: comprensione e controllo dell’uomo sull’universo
fuori e dentro di lui. Allo stesso modo, riteneva che esistessero anche
altre operazioni possibili all’uomo, non sottoposte alle regole
matematiche o chimiche o fisiche, che ottengono risultati analoghi. E su
questo punto gran parte degli scienziati non sarebbe d’accordo con
lui.
Intendetemi, questo
discorso che sto facendo su Crowley e i suoi ragionamenti è a scopo
esemplificativo: esistono altre definizioni di magia, tantissime altre, e
le troverete facilmente cercando su Google.
Qual è dunque quella giusta?
Non ne ho la minima idea.
L’unica
osservazione che mi sento di fare è che ognuno, se vuole, può trovarsi
la propria risposta, quella più in linea con la propria esperienza
personale.
Più in
specifico, alla domanda che ha dato origine alla mia riflessione – dove
starebbe la magia nel fare una passeggiata fantasticando su quel che si
vede in giro – potrei rispondere a istinto: nel risultato. O, se volessi
dirla con parole migliori delle mie, prenderei a prestito quelle di uno
dei miei occultisti preferiti, Jan Fries:
Che valore hanno le nostre visioni? Be’, non possiamo aspettarci di percepire realtà obiettive con le nostre menti soggettive. Sarebbe alquanto stupido insistere che una qualsiasi visione sia “vera” o “reale”, non importa quanto vivida ci sia sembrata. Non abbiamo il dovere di credere o non credere alle esperienze che facciamo. A conti fatti, il solo “test di qualità” della nostra esperienza è quel che ne possiamo ricavare: se una visione ti tocca nel profondo, ti insegna qualcosa, ti ispira o ti trasforma in qualche modo, quella visione, che sia “vera” o “illusoria”, ha tutta la realtà che le serve.(mia traduzione da Visual Magick, Mandrake of Oxford 1992, pag. 142)
Jan Fries |
Non
sarò mai io a contestare questa posizione. Come giustissimamente
sosteneva Stefano, il mondo è un posto abbastanza magico anche senza dèi
e stregoni. Così come è un posto magico se ci incontriamo dèi e
stregoni e chissà cos’altro.
Partendo dal primo dei due presupposti, la domanda sulla “magia delle passeggiate” perde di senso: non esiste nessuna magia, né nelle passeggiate né nelle bacchette magiche né in nient’altro. Partendo dal secondo, si può cominciare col Sidewalking e arrivare alle “magiche soffiate di naso” di Crowley.
Partendo dal primo dei due presupposti, la domanda sulla “magia delle passeggiate” perde di senso: non esiste nessuna magia, né nelle passeggiate né nelle bacchette magiche né in nient’altro. Partendo dal secondo, si può cominciare col Sidewalking e arrivare alle “magiche soffiate di naso” di Crowley.
Ognuno di noi sceglie. E ognuno di noi è responsabile delle conseguenze della sua scelta.