Le due “accuse” che mi sento rivolgere più spesso quando parlo in pubblico di libri – a parte quella di non parlarne abbastanza (ma chi mi segue sa benissimo perché non lo faccio) – sono:
1. che parlo troppo spesso di roba in lingua originale, che il 90% delle volte non vedrà mai la luce in Italia (sì, se già non lo sapete, commetto il peccato di leggere soprattutto in inglese)
2. che “non mi piace il secondary world fantasy”, ossia le storie ambientate interamente in un altro mondo con la mappa all’inizio e via dicendo (a chi mi fa questa seconda “accusa” di solito rispondo con un elenco a torrente di secondary world che amo e ho amato, e vado avanti a elencare finché la persona in questione non si azzittisce).
Ebbene, stavolta tenterò eroicamente di mettere a tacere tutti parlando (in breve) di un fantasy di ambientazione che più classica non si può, con la sua fottuta mappa all’inizio e i protagonisti armaturati in copertina, e che per una santa volta uscirà in italiano (non so ancora quando ma uscirà per certo, penso sia questione di mesi).
Il romanzo in questione è Kings of the Wyld di Nicholas Eames.
Pubblicato a febbraio di quest’anno, io l’ho letto solo negli ultimi tre giorni, fuori programma nella mia (sempre troppo fitta) schedule di letture, perché Aislinn me lo ha picchiato in mano e mi ha detto “Leggi”.
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Per la
copertina potevano sforzarsi
di più, ma
alla fine chissene!
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Sono ancora un po’ frastornato dall’esperienza e non so nemmeno da dove cominciare a parlarne… Facciamo dall’autore, anche se in realtà non ho molto da dire: Nicholas Eames è un giovane scrittore canadese (cioè, mi pare abbastanza giovane dalla foto: non ho trovato da nessuna parte la sua data di nascita) che ha palesemente giocato di ruolo come una belva e ascoltato troppa musica ad alto volume. In pratica è uno come me, ma più bravo, pochi cazzi.
Kings of the Wyld è il suo primo romanzo, e un esordio così io non lo leggevo letteralmente da anni.
Prendete un tipico mondo fantasy medievale, spaventosamente infestato di mostri usciti per l’80% dai manuali di Dungeons & Dragons terza edizione (e l’autore non lo nasconde proprio, anzi ne fa uno dei suoi punti di forza). Popolatelo di bande mercenarie ammazza-mostri che funzionano esattamente come delle band metal: hanno un frontman, un agente e un nome cazzuto, vanno in tour (ad ammazzare mostri), schiere di fan seguono le loro avventure e i membri dei gruppi più esaltati si pittano pure la faccia. Prendete una di queste bande, i Saga, che ai bei tempi ha massacrato eserciti di nonmorti e ucciso draghi (be’, quasi), salvato bellissime principesse ninfomani e sgominato tetri Signori del Male, in poche parole ha compiuto imprese talmente spesse che il mondo ne sente ancora gli effetti a lungo termine.
E ora fate la conoscenza dei suoi membri vent’anni dopo, quando la banda si è sciolta da una vita e quasi tutti hanno messo su famiglia e pancia, hanno lasciato le armi in soffitta e i capelli sulla spazzola e si sono trovati più o meno un lavoro onesto (tranne il lanciatore di coltelli diventato re, lavoro che di onesto non ha mai avuto nulla).
Finché un giorno il taciturno Clay Slowhand, “gigante buono” di mezz’età che passa le giornate a far la guardia a mura di paese che nessuno attacca mai e a praticare l’arte del rimugino con passione da pensionato, si ritrova sulla porta di casa l’amico Golden Gabe, ex capo dei Saga, distrutto e in lacrime. Sua figlia ormai adolescente, contro il buon senso e i consigli paterni, ha voluto diventare a sua volta una mercenaria (che si dice sempre dei figli delle rockstar?…), è scappata di casa e ora si trova chiusa in una città all’altro capo del continente, assediata dall’orda di mostri più vasta e più incazzata che quest’era del mondo abbia mai visto. E qualcuno deve fare qualcosa, no?
Kings of the Wyld è il suo primo romanzo, e un esordio così io non lo leggevo letteralmente da anni.
Prendete un tipico mondo fantasy medievale, spaventosamente infestato di mostri usciti per l’80% dai manuali di Dungeons & Dragons terza edizione (e l’autore non lo nasconde proprio, anzi ne fa uno dei suoi punti di forza). Popolatelo di bande mercenarie ammazza-mostri che funzionano esattamente come delle band metal: hanno un frontman, un agente e un nome cazzuto, vanno in tour (ad ammazzare mostri), schiere di fan seguono le loro avventure e i membri dei gruppi più esaltati si pittano pure la faccia. Prendete una di queste bande, i Saga, che ai bei tempi ha massacrato eserciti di nonmorti e ucciso draghi (be’, quasi), salvato bellissime principesse ninfomani e sgominato tetri Signori del Male, in poche parole ha compiuto imprese talmente spesse che il mondo ne sente ancora gli effetti a lungo termine.
E ora fate la conoscenza dei suoi membri vent’anni dopo, quando la banda si è sciolta da una vita e quasi tutti hanno messo su famiglia e pancia, hanno lasciato le armi in soffitta e i capelli sulla spazzola e si sono trovati più o meno un lavoro onesto (tranne il lanciatore di coltelli diventato re, lavoro che di onesto non ha mai avuto nulla).
Finché un giorno il taciturno Clay Slowhand, “gigante buono” di mezz’età che passa le giornate a far la guardia a mura di paese che nessuno attacca mai e a praticare l’arte del rimugino con passione da pensionato, si ritrova sulla porta di casa l’amico Golden Gabe, ex capo dei Saga, distrutto e in lacrime. Sua figlia ormai adolescente, contro il buon senso e i consigli paterni, ha voluto diventare a sua volta una mercenaria (che si dice sempre dei figli delle rockstar?…), è scappata di casa e ora si trova chiusa in una città all’altro capo del continente, assediata dall’orda di mostri più vasta e più incazzata che quest’era del mondo abbia mai visto. E qualcuno deve fare qualcosa, no?
Nicholas Eames |
E dunque via che si parte a rimettere insieme la vecchia banda, rintracciando in giro per il mondo Moog il mago (che già ci stava poco con la testa da giovane, figurarsi adesso), Matrick il ladro (che ora porta una scomoda corona e ha una situazione coniugale alquanto complicata) e Ganelon l’uomo-nato-per-uccidere (che è andato incontro al… duro destino di chi vive in casa di una Gorgone). E questa ovviamente è la parte più facile, perché tra i Saga e la figlia di Gabe non ci sono solo i duemila chilometri di foresta piena di mostri (l’Heartwyld) da cui la banda da giovane ha preso il nomignolo che fa da titolo al libro, ma anche – e soprattutto – un esercito di acciacchi dell’età e dell’anima, di rimorsi e di rimpianti, di invidie e di vendette, di sovrani immortali, di mogli inferocite e di devastanti, inesorabili confronti tra il presente e un passato che non tornerà mai più.
Se tutte queste ragioni non vi bastano per prendere in mano Kings of the Wyld (adesso o quando sarà fuori in italiano), ve ne do altre tre. La prima è la straordinaria capacità di Eames di passare da un registro narrativo all’altro, da cui esce un libro che ti fa sghignazzare ad alta voce a una pagina e azzittirti col groppo in gola alla pagina successiva.
La seconda è che si tratta di un libro intelligente, che dietro a una ritmata, divertente storia di mercenari imbolsiti, gladiatori da strapazzo, navi volanti e oggetti magici disfunzionali parla in modo attento e toccante della condizione umana e dei nostri eterni tentativi di affrontarla come meglio possiamo, senza la minima retorica e senza mai smettere di essere una divertente storia di mercenari, gladiatori, navi volanti e oggetti magici disfunzionali (e questa, volenti o nolenti, è una qualità rara in qualunque romanzo, indipendentemente dal suo genere).
E la terza è un villain – l’elfo Lastleaf – che non è solo talmente fico a vedersi che ti vien voglia di disegnarlo persino se (come me) non sai neanche da che lato si tiene un pennarello, ma ha anche motivazioni così sensate per il suo agire che, onestamente, spesso è dura non parteggiare per lui. E in quest’epoca di rompiballismo senza fine sulle psicologie dei personaggi, anche quei lettori che ce l’hanno a morte con il “cattivo perché sì” (che invece a me piace, come ho pure spiegato qui due anni fa) magari stavolta se ne andranno a casa pacificati.
Se tutte queste ragioni non vi bastano per prendere in mano Kings of the Wyld (adesso o quando sarà fuori in italiano), ve ne do altre tre. La prima è la straordinaria capacità di Eames di passare da un registro narrativo all’altro, da cui esce un libro che ti fa sghignazzare ad alta voce a una pagina e azzittirti col groppo in gola alla pagina successiva.
La seconda è che si tratta di un libro intelligente, che dietro a una ritmata, divertente storia di mercenari imbolsiti, gladiatori da strapazzo, navi volanti e oggetti magici disfunzionali parla in modo attento e toccante della condizione umana e dei nostri eterni tentativi di affrontarla come meglio possiamo, senza la minima retorica e senza mai smettere di essere una divertente storia di mercenari, gladiatori, navi volanti e oggetti magici disfunzionali (e questa, volenti o nolenti, è una qualità rara in qualunque romanzo, indipendentemente dal suo genere).
E la terza è un villain – l’elfo Lastleaf – che non è solo talmente fico a vedersi che ti vien voglia di disegnarlo persino se (come me) non sai neanche da che lato si tiene un pennarello, ma ha anche motivazioni così sensate per il suo agire che, onestamente, spesso è dura non parteggiare per lui. E in quest’epoca di rompiballismo senza fine sulle psicologie dei personaggi, anche quei lettori che ce l’hanno a morte con il “cattivo perché sì” (che invece a me piace, come ho pure spiegato qui due anni fa) magari stavolta se ne andranno a casa pacificati.
L’anno prossimo uscirà un secondo libro ambientato nello stesso mondo, Bloody Rose, ma avrà personaggi diversi e racconterà un’altra storia, perché Kings of the Wyld è abbondantemente autoconclusivo. La data prevista – leggo on line – è per la fine di aprile. E, con la smania che ho addosso in questo momento, saranno otto mesi davvero lunghi…
Una (perfetta!) fanart di Clay Slowhand |
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