ORIGINARIAMENTE PUBBLICATO SU FACEBOOK IL 04.11.2013
Non
farò un reportage su Lucca. Un po’ li invidio, quelli che ci riescono. Io torno
sempre a casa talmente frastornato che mi serve minimo una settimana per
elaborare quel che è successo in quei due o tre.
Quest’anno in particolare mi è sembrato tutto “dippiù”. Non so se è vero, intendiamoci, ma ho avuto l’impressione che fosse tutto “a volume più alto del solito”. Più gente, più colori, più rumori, più stimoli, più cose da fare. L’unica cosa che mi è sembrata molto più scarsa del normale è stata il tempo, e infatti non sono riuscito a vedere e salutare tutti, né a dedicare il tempo che avrei voluto a ognuna delle persone che ho incontrato. Per quanto può valere, chiedo scusa, sinceramente!
Nel complesso l’esperienza è stata gloriosamente schiacciante e assolutamente bellissima (mamma mia che brutta espressione!!...), ma…
Ma c’è un aspetto che mi ha colpito e che mi sono portato a casa come un retrogusto cattivo in bocca. Parlando con amici e colleghi ho avvertito un diffusissimo e innegabile senso di impending doom. La sensazione di stare in mezzo a una folla che fissa l’orizzonte contando i secondi prima dell’arrivo della Grande Onda che spazzerà via ogni cosa.
Di fianco a ogni discorso pieno di entusiasmo sulle cose che cambiano, sulle novità imminenti, su tutto quel che prima non si poteva fare e adesso si può appariva di fisso lo spettro dell’Apocalisse: l’editoria italiana è al crollo, verremo annegati dai brutti libri e poi spariranno persino quelli, nessuno legge, tutto è al capolinea, tutto chiuderà e per farla breve, con generalizzazioni tipicamente italiche, per l'Italia non c'è più nulla da fare.
Ora. Sarà che sono – mio malgrado – una persona poco paziente e mi rompo le palle in fretta (non mi sto vantando di un mio difetto: è una cosa che nella vita mi ha dato solo problemi e che non riesco ancora a correggere). Sarà che – come a tanti italiani – mi piace fare l’anticonformista da due soldi e se tutti vanno da una parte a me vien voglia di andare dall’altra. Ma qui mi pare di capire che la posizione da ribelle di sto cazzo (ossia la mia) sia diventata avere speranza e mettersi in testa di cambiare qualcosa.
Come si fa, non lo so. Ma so che adesso lo faccio.
E comincio col mandare il mio primo messaggio in bottiglia a chi ha voglia di starlo a sentire:
le recensioni negative non servono a un beneamato.
O meglio. Chi le scrive può avere mille motivi per farlo sui quali io non ho nulla da questionare, e personalmente non auspico affatto la loro sparizione, ma se lo scopo di un stroncatura è contribuire al miglioramento del panorama librario, quello scopo viene mancato del proverbiale chilometro.
Stroncare – in maniera intelligente o cretina, seria o ironica che sia – i libri che non ci piacciono non contribuisce in alcun modo alla diffusione dei libri che ci piacciono. Allo stato attuale delle cose, in cui ancora mancano moltissimi elementi strutturali per cambiare la situazione, l'unico modo per diffondere di più i libri che ci piacciono è, banalissimamente, diffonderli.
Se pensate che un libro valga, fatene comprare a qualcun altro un’altra copia.
Quest’anno in particolare mi è sembrato tutto “dippiù”. Non so se è vero, intendiamoci, ma ho avuto l’impressione che fosse tutto “a volume più alto del solito”. Più gente, più colori, più rumori, più stimoli, più cose da fare. L’unica cosa che mi è sembrata molto più scarsa del normale è stata il tempo, e infatti non sono riuscito a vedere e salutare tutti, né a dedicare il tempo che avrei voluto a ognuna delle persone che ho incontrato. Per quanto può valere, chiedo scusa, sinceramente!
Nel complesso l’esperienza è stata gloriosamente schiacciante e assolutamente bellissima (mamma mia che brutta espressione!!...), ma…
Ma c’è un aspetto che mi ha colpito e che mi sono portato a casa come un retrogusto cattivo in bocca. Parlando con amici e colleghi ho avvertito un diffusissimo e innegabile senso di impending doom. La sensazione di stare in mezzo a una folla che fissa l’orizzonte contando i secondi prima dell’arrivo della Grande Onda che spazzerà via ogni cosa.
Di fianco a ogni discorso pieno di entusiasmo sulle cose che cambiano, sulle novità imminenti, su tutto quel che prima non si poteva fare e adesso si può appariva di fisso lo spettro dell’Apocalisse: l’editoria italiana è al crollo, verremo annegati dai brutti libri e poi spariranno persino quelli, nessuno legge, tutto è al capolinea, tutto chiuderà e per farla breve, con generalizzazioni tipicamente italiche, per l'Italia non c'è più nulla da fare.
Ora. Sarà che sono – mio malgrado – una persona poco paziente e mi rompo le palle in fretta (non mi sto vantando di un mio difetto: è una cosa che nella vita mi ha dato solo problemi e che non riesco ancora a correggere). Sarà che – come a tanti italiani – mi piace fare l’anticonformista da due soldi e se tutti vanno da una parte a me vien voglia di andare dall’altra. Ma qui mi pare di capire che la posizione da ribelle di sto cazzo (ossia la mia) sia diventata avere speranza e mettersi in testa di cambiare qualcosa.
Come si fa, non lo so. Ma so che adesso lo faccio.
E comincio col mandare il mio primo messaggio in bottiglia a chi ha voglia di starlo a sentire:
le recensioni negative non servono a un beneamato.
O meglio. Chi le scrive può avere mille motivi per farlo sui quali io non ho nulla da questionare, e personalmente non auspico affatto la loro sparizione, ma se lo scopo di un stroncatura è contribuire al miglioramento del panorama librario, quello scopo viene mancato del proverbiale chilometro.
Stroncare – in maniera intelligente o cretina, seria o ironica che sia – i libri che non ci piacciono non contribuisce in alcun modo alla diffusione dei libri che ci piacciono. Allo stato attuale delle cose, in cui ancora mancano moltissimi elementi strutturali per cambiare la situazione, l'unico modo per diffondere di più i libri che ci piacciono è, banalissimamente, diffonderli.
Se pensate che un libro valga, fatene comprare a qualcun altro un’altra copia.
Una
cazzo
di
copia.
Fatelo in diecimila e avrete cambiato qualcosa. Non
fatelo e non sarà cambiato niente.
E adesso, siccome fa radical chic e anche un po’ cheesy, cito pure Gandhi: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.”
E adesso, siccome fa radical chic e anche un po’ cheesy, cito pure Gandhi: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.”
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