ORIGINARIAMENTE PUBBLICATO SU FACEBOOK IL 30.06.2014
Strana giornata ieri (o perlomeno piacevolmente insolita nel regime che il lavoro mi costringe a tenere ultimamente...), passata a parlare con Livio Gambarini di libri, di scrittura, di editoria, di progetti e della razza umana in generale.
Strano trovarsi a discutere con una persona con una preparazione tecnica nel tuo stesso campo di lavoro tanto palesemente superiore alla tua che ti fa ricordare quanto in realtà sei piccolo. Di base non credo di possedere un ego ipertrofico, ma ricordarci che c'è sempre chi ti fa sentire un pigmeo fa solo bene.
Strano confrontarsi con qualcuno che viene da un'esperienza di scrittura così diversa dalla tua, fatta di realtà comunitarie in cui ci si analizza e ci si commenta costantemente, con una schiettezza e una fondamentale serenità d'animo che faticavo a credere potessero esistere (ma dopo aver parlato con Livio ci credo).
Io che vengo da un'esperienza immensamente solitaria, che ho sempre vissuto questa specie di damma mistico nella sola – non di rado angosciante – compagnia di me stesso, che non sono costitutivamente capace di essere sincero se temo di urtare il mio interlocutore, che evito il conflitto con cura a volte maniacale (e vedo conflitti dove non ce ne sono), guardo questo mondo da fuori sapendo che non potrei mai farne parte, ma domandadomi nel contempo che cosa avrebbe significato vivere una vita diversa.
A un certo punto ho detto al mio amico che di fronte a lui e ai suoi compagni d’arme mi sento come un soldato che ha imparato a "leggere il campo di battaglia" solo perché ha combattuto un po' di volte, di fronte a un gruppo di giovani ufficiali e futuri generali brillantemente usciti dall’accademia militare. Lui sorridendo mi ha risposto che loro per ora si sono solo allenati tanto in cortile con le spade di legno: "Tu invece" ha proseguito, "sei un veterano che forse ha combattuto poche battaglie, ma erano vere, le ha scelte bene e per ora le ha vinte tutte".
Sol momento ho ringraziato – e di cuore – perché è un bel complimento. Ma non ho smesso di pensarci.
E oggi più che un veterano mi sento come un coscritto spedito a pedate al fronte, che per un colpo di culo irripetibile nella vita è passato indenne attraverso le sue guerre e ora si guarda indietro domandandosi come ha fatto a uscirne vivo, e che senso ha avuto tutto quel che è successo.
E se, forse, non avrebbe fatto meglio a fare il disertore.
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