ORIGINARIAMENTE PUBBLICATO SU FACEBOOK IL 01.10.2014
Spesso usato come sinonimo di
"non andare da nessuna parte".
Ma può anche essere un atto
rituale, o magico.
Da quando ho iniziato a
scrivere ho sentito dire (e urlare, e sputare, e piagnucolare) di tutto sulla
scrittura.
Ho sentito dire che le regole esistono per essere capite e seguite e che le regole esistono per essere capite e infrante. Che si dovrebbe leggere solo di pancia, e che si dovrebbe leggere solo di testa. Che solo con la corretta applicazione della tecnica un libro può venir bene, e che solo con la spinta di un afflato interiore un libro può venir bene. Che seguendo le regole chiunque può scrivere un libro decente, e che nessuno può scrivere un libro decente senza ispirazione. Che non si nasce scrittori ma si può diventarlo, e che scrittori si nasce e basta.
Ho sentito dire che le regole esistono per essere capite e seguite e che le regole esistono per essere capite e infrante. Che si dovrebbe leggere solo di pancia, e che si dovrebbe leggere solo di testa. Che solo con la corretta applicazione della tecnica un libro può venir bene, e che solo con la spinta di un afflato interiore un libro può venir bene. Che seguendo le regole chiunque può scrivere un libro decente, e che nessuno può scrivere un libro decente senza ispirazione. Che non si nasce scrittori ma si può diventarlo, e che scrittori si nasce e basta.
Ho sentito dire che il talento
non esiste, esistono solo il duro impegno e la preparazione. E ho sentito dire
che il duro impegno e la preparazione non servono a una ceppa senza talento.
Quest'eestate Andrea Atzori, una
delle persone più intelligenti che troverete in circolazione, mi ha offerto una
prospettiva diversa: quella secondo cui un grande libro può uscire solo da una
grande persona.
Essendo questo per me un periodo di riflessione, ci sto riflettendo molto. E non riesco a smettere di farmi una domanda: e se alla fine si stesse camminando in cerchio?
Essendo questo per me un periodo di riflessione, ci sto riflettendo molto. E non riesco a smettere di farmi una domanda: e se alla fine si stesse camminando in cerchio?
Se dopo aver studiato sui
libri e/o imparato con la pratica, dopo aver seguito le regole e dopo averle
infrante, dopo aver analizzato, sezionato, ricostruito, accettato, rifiutato,
riso, pianto e urlato, non si finisca per tornare a un'unica, semplicissima
verità di base: che per scrivere un Grande Libro bisogna essere Grandi Persone?
Che sia la grandezza umana l'unica virtù che uno scrittore dovrebbe coltivare, persino (anche se non necessariamente) a scapito di altre doti come la preparazione tecnica e/o l'ispirazione?
Che sia la grandezza umana l'unica virtù che uno scrittore dovrebbe coltivare, persino (anche se non necessariamente) a scapito di altre doti come la preparazione tecnica e/o l'ispirazione?
Che sia questo (o che
perlomeno c'entri con questo) quel concetto poco definibile che di solito si
chiama "talento"?
Faccio pure un passetto più in là: e se anche solo per scrivere un Libro Decente fosse necessario, first and foremost, essere Persone Decenti?
Faccio pure un passetto più in là: e se anche solo per scrivere un Libro Decente fosse necessario, first and foremost, essere Persone Decenti?
Molte popolazioni antiche
sostenevano che il linguaggio degli Dèi è la poesia. E forse nessuno è riuscito
a esprimere il contetto meglio dei popoli celtici, che dalla poesia sono più o
meno ossessionati (provate anche solo a leggere l'antico poema irlandese The Cauldron of Poesy). Una delle caratteristiche fondamentali del
linguaggio poetico è che, pur possedendo tecniche e tradizioni, può essere
prodotto solo in maniera "viscerale", e recepito profondamente allo
stesso livello. O, per dirla in altro modo, la poesia ha la sua tecnica ma
"funziona" davvero solo quando sia chi la scrive che chi la legge la
"sente".
Ma, mi direte voi, tu ti
occupi di narrativa, mica di poesia!
Un bel po' di tempo fa mi è
capitato di esprimere un concetto affine a questo a una persona molto amante
della scrittura tecnica, che ha avuto una reazione vagamente inferocita e ci ha
tenuto a spiegarmi che con queste "idee vaghe e fumose" non si va da
nessuna parte, e che le persone intelligenti non hanno tempo tempo per
"queste cose".
All'epoca non ci ho pensato,
ma oggi, con la prospettiva del tempo, non riesco a non domandarmi quanta di
quella rabbia non fosse semplicemente figlia della paura.
La paura di dover camminare
sul filo senza la rete di sicurezza di un sistema collaudato, infallibile e
razionale, e infallibile perché razionale. Una semplice (ma non banale) paura
dell'ignoto.
Se così fosse, mi sa che avrei poco da rimproverare a chi si arrabbia. Perché quella paura ce l’ho anch’io, e non poca.
Se così fosse, mi sa che avrei poco da rimproverare a chi si arrabbia. Perché quella paura ce l’ho anch’io, e non poca.
Di domande continuo a farmene,
e di risposte continuo a non trovarne, ma oggi ho almeno un'ipotesi: che il
talento sia (o che perlomeno col talento c'entri) una reazione alla paura. Non
quella di chi non ha paura del filo e del vuoto che c’è sotto, o finge di non
averne: quella di chi sul filo ci cammina lo stesso.
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