venerdì 2 ottobre 2015

Le Voci di chi non ha voce

Dato che ormai è decisamente autunno (lo dice il calendario, ma lo provano le mie finestre quando le apro al mattino…), mi viene voglia di parlare di comunicazione non umana.
“E che minchia c’entra??” direte voi. 
Seguitemi con (la solita) pazienza e ve lo spiegherò. 
Tra tutte le stagioni, l’autunno è quella che per me rappresenta di più il cambiamento. È una stagione di passaggio e questo è ovvio, ma – mi fanno notare – lo è anche la primavera, e anche allora le cose cambiano piuttosto vistosamente. Lo so, ma in autunno io avverto un cambiamento più intenso. Sarà perché è più veloce, le foglie trasmutano e cadono in una manciata di giorni appena. Sarà perché l’assalto sensoriale – i colori, le nuvole, il vento, l’odore dell’aria – per me è molto più forte che in qualunque altra stagione. Sarà perché quasi tutti i grandi cambiamenti della mia vita sono avvenuti in autunno. 
Ma sto divagando. 
Fa quasi paura, vero?
Pressoché tutte le tradizioni della Terra vi diranno che le “linee di confine”, sia temporali (l’alba e il tramonto, la mezzanotte, i momenti di passaggio nell’anno) che spaziali (la riva del mare, il limitare di un bosco, la soglia di casa, l’orizzonte) sono i punti privilegiati per incontrare luoghi e creature che non appartengono al mondo del quotidiano. Grazie all’antropologo Victor Turner, oggi sia gli accademici che gli occultisti li chiamano “spazi liminali”: sono i luoghi dove i nostri antenati andavano a cercare gli spiriti, a venerare le ninfe, o si imbattevano (spesso loro malgrado) nelle creature fatate. La loro importanza era tale che in molte religioni c’erano divinità specifiche a custodirli: Ecate, Giano, Heimdall, Papa Legba, l’Uomo Nero dei Crocicchi (e H. P. Lovecraft aggiungerebbe anche Yog-Sothoth…) 
Dunque, se concordate con me che l’autunno è un momento di passaggio, è anche un ottimo momento per uscire di casa e andare a incontrare i Non Umani. 
Chi ha letto (o fatto) l’esercizio di Sidewalking che ho proposto qui alcuni giorno fa a questo punto magari penserà: “Ecco, questo imbecille sta per dirci di nuovo di andare a spasso e immaginarci le cose pretendendo che sia magia”. 
Sì e no. 
Sulla natura magica delle mie “proposte”, ho già detto qui tutto quel che avevo da dire: il resto sta al 100% a voi. Tuttavia, questa volta non vi chiederò di usare la vostra mente, ma il vostro corpo.
Partiamo anche solo dal presupposto che passeggiare d’autunno è bello (quando non piove a dirotto e sembra notte alle quattro del pomeriggio). I colori sono fantasmagorici, le foglie ballano in cerchio, il vento cambia di colpo da brezza leggera a folata gelida, l’aria sa di fumo di legna, di terra scura, di muschio. L’ambiente d’autunno è un’autentica esperienza dei sensi. Ed è proprio qui che sta la comunicazione.
Scegliete un posto che vi piace e mettetevi comodi, possibilmente lontano da strade incasinate e gente che passa. Andare nel bosco e sedetevi sotto un albero, avendo cura di sceglierne uno che a prima vista vi fa simpatia; salite su una collina dove il vento spazza l’erba a ondate; se vivete vicino a un fiume, a un lago o al mare, trovate un posto tranquillo sulla riva (e se avete pure la resistenza al freddo di un tricheco potete anche togliervi le scarpe e immergere i piedi). Oppure, se non vi va di stare fermi, camminate lungo i sentieri. 
E, a questo punto, prestate attenzione
Ascoltate il sibilo del vento, il mormorio delle foglie, il gorgogliare dell’acqua. Non cercare di cogliervi un senso o suoni specifici (sotto un certo aspetto, questo esercizio è l’opposto del Sidewalking): ascoltate e basta. Toccate l’erba con le mani e sentite se è bagnata; raccogliete una foglia ed esploratela coi polpastrelli; sbriciolate un pugno di terra tra le dita. Annusate l’aria e cercate odori che non riconoscete. Respirate in profondità, non con il respiro superficiale che usiamo di solito e che impegna solo parte alta dei polmoni: respirate riempiendoli tutti, da cima a fondo. Guardatevi intorno e, se vi va, cercate le facce nella corteccia degli alberi, le forme di animali nei sassi, le figure nelle nuvole. Ci si può sentire parecchio cretini a fare una cosa del genere, vero? Eppure da bambini lo facevamo sempre e non ci sembrava stupido. 
Cucù!
Presso molte popolazioni tradizionali, dai Nativi Americani ai Sami della Lapponia, ancora oggi chi ha un problema che non riesce a risolvere può decidere di andare a camminare finché non trova un sasso che attira la sua attenzione: a quel punto lo porta a casa, gli dà una ripulita e resta a osservarlo, a studiare ogni piega della sua forma finché non coglie una risposta alla domanda che ha in mente, o un consiglio utile per la sua situazione. 
Non metto in dubbio che una cosa del genere sia al di là della portata della maggior parte di noi, ma penso che nemmeno voi metterete in dubbio che, a immergersi nell’esperienza sensoriale che ho suggerito sopra (e intendo immergersi bene, con grande attenzione), qualcosa si muoverà dentro di voi. Se volete, è una reazione fisiologica: i colori, gli odori, i suoni producono immancabilmente delle emozioni, a volte anche di intensità inaspettata. Ed ecco che, in maniera del tutto naturale, non forzata, il mondo esterno ha cominciato a comunicare con voi. Non a parole, è ovvio, ma con un linguaggio sensoriale che non farete nessuna fatica a decodificare per istinto. 
A questo punto potete fare anche il passo successivo, e aprire il canale comunicativo in entrambe le direzioni. Fate una domanda (non ad alta voce, non ce n’è bisogno), e lasciatevi andare alla risposta. Non cercate voci o strani movimenti o immagini improvvise, perché è molto probabile che non ne troverete: semplicemente, lasciate che i vostri sensi abbraccino il mondo esterno nella sua totalità, senza sforzarvi. 
Ancora una volta, io non vi garantisco nulla sul risultato che otterrete. Come potrei? Ma – e questo invece lo faccio senza timore – vi garantisco un’esperienza, nella quale la voce di Quelli che sono là fuori sarà presente che voi la riconosciate o meno. E comunque anche un “semplice” senso di pace e completezza è di per sé una ricompensa non da poco per i nostri tentativi di sentire e farci sentire da forze che sono tanto diverse da noi, e tanto più grandi. 
Le due domande che sorgono a questo punto nei miei pazienti ascoltatori tendono a essere sempre le stesse. 
Occhi aperti ;-)
La prima è: “Ma come si può comunicare realmente con cose che non sono umane, che non hanno la parola, che non hanno nemmeno i nostri sensi o la nostra percezione del mondo?” A questa si risponde facilmente: chiunque abbia un animale domestico sa bene che non servono la voce o sensi condivisi per capirsi, a volte anche in un lampo e alla perfezione. O, in maniera anche più travolgente, ricordatevi di quella volta che stavate tanto male e qualcuno a cui volete bene vi ha abbracciato, in silenzio. 
La seconda domanda è: “Ma come faccio a sapere che là fuori c’è veramente qualcuno che mi ascolta e mi risponde? Dovrei credere sul serio che intorno a me ci sono ninfe negli alberi, elfi nascosti nel muschio, nani che mi guardano dai buchi nel terreno? E, anche se credessi di sentire qualcosa, come potrei sapere che non me lo sto immaginando e basta?” 
Si può rispondere in molti modi, forse tutti corretti. La risposta che scelgo io è: se decidi che gli spiriti non sono nella natura (intesa come totalità del mondo esterno) ma solo nella tua mente, non stai generando nessun dilemma. La tua mente non fa forse parte della natura? Non ne fai forse parte tu per intero? 
E ancora: c’è tutta questa differenza tra “me stesso” e “là fuori”? Da una parte, l’intero mondo che mi circonda è solo il mondo che io percepisco, e dall’altra non potrei separarmi e tagliarmi fuori dalla dimensione della natura nemmeno se lo volessi. 
E non intendo solo la natura del mio singolo corpo: intendo la natura per intero. Se posso citare ancora una volta Jan Fries (sì, lo so che sono ossessivo), la scoperta del DNA ha rivelato che l’unione indissolubile tra tutte le creature viventi non è religione: è biologia.

2 commenti:

  1. Una piccola appendice all'eccellente articolo. Prima di tutto, per i nerd inclini all'accademia: consiglio di procurarsi (per muli o torrenti, in mancanza di cash) il corso universitario "Terror of History" del Prof. Teofilo Ruiz (http://www.thegreatcourses.com/courses/terror-of-history-mystics-heretics-and-witches-in-the-western-tradition.html), prodotto dalla Teaching Company. L'autore ammette di aver iniziato ad interessarsi al misticismo proprio in seguito a un'esperienza intensa provocata dall'esercizio sopra proposto da Luca. Essenzialmente, il corso è una trattazione di ciò che questo esercizio ha prodotto nei secoli, ed è un bel mucchio di roba sfrigolante.
    Altra questione. La mia prospettiva riguardo alla seconda domanda posta da Luca è: «Gli dèi/spiriti/etc sono idee con cui puoi parlare». Questo spunto mi è stato dato da Erik Davis (di cui consiglio "Techgnosis", tra le altre cose), e lo trovo estremamente elegante nella sua semplicità. Rivolgo a Luca un «Thanks for all the fish» e aspetto la prossima puntata.

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    1. "TechGnosis" di Davis è un botto di libro e mi unisco caldamente al consiglio! (l'ho pure usato come pase per una mia conferenza sul rapporto tra tecnologia e magia nella storia dell'Occidente)
      Il libro di Ruiz invece non lo conoscevo e ora mi fiondo a comprarlo. Grazie a te, Massimo!!

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