lunedì 23 novembre 2015

Cattivi perché sì

Notavo di recente che, da quando ho cominciato a scrivere post sereni per parlare di dèi e magia anziché tirate lamentose per parlare di libri ed editoria italiana, le visite ai miei spazi si sono ridotte a circa un quinto (cifre che non mi invento, i contatori stanno lì per quello).
È fuor di dubbio che questo la dice lunga sul pubblico inteso in senso generale, come peraltro è fuor di dubbio che io ai miei lettori voglio un gran bene comunque, che seguano o meno le mie chiacchiere on line. 
Potrebbe sembrare questo il motivo per cui oggi ho deciso di parlare di nuovo di libri – o meglio di storie – ma in realtà è solo perché la breve e oziosa riflessione che segue mi picchietta la testa da un po’. Poi è ovvio che andrò a guardare i contatori per vedere se sono saliti! (ma dopo continuerò imperterrito a parlare di magia). 

Una cosa che non ha mai smesso di farmi sorridere sono le lamentele contro i villain “cattivi perché sì”. 
Per farla breve, ce la si prende con quelle storie in cui gli antagonisti non sembrano avere – perlomeno nell’opinione del lettore di turno – una vera buona ragione per comportarsi da figli di padre incerto. A volte il capo d’imputazione è una mancanza di caratterizzazione psicologica (ma concorderete con me che, nei libri in cui accade questo, il problema non si limita quasi mai al solo personaggio del villain...). Altre volte il lettore semplicemente non riesce a capire perché una persona sensata dovrebbe comportarsi a quel modo. Altre volte ancora, nei casi in cui il villain non sia del tutto sano di mente, il nostro lettore può annunciare con un sorriso trionfale che con la follia l’autore ha solo trovato un banale escamotage per far fare quel che gli pare al suo cattivo. 
Ora, al netto del fatto – tremendamente ovvio, ma a puntualizzare l’ovvio su internet non si sbaglia mai – che esistono i personaggi (buoni o cattivi) mal caratterizzati, come esistono gli autori che non li sanno gestire, e nessuno sta tentando di giustificare né i primi né i secondi, per quanto mi riguarda io sono ASSOLUTAMENTE FAVOREVOLE al “cattivo perché sì”.

Parlando da lettore, di motivi me ne vengono in mente almeno tre. 
Il primo è che di gente “cattiva perché sì” è pieno il mondo. Conosco svariate persone che non hanno una sola buona ragione nella vita per avercerla con l’intera razza umana – e alcune le conosco abbastanza bene da sapere per certo che non hanno orribili segreti chiusi negli scantinati della loro infanzia – eppure sono individui profondamente incattiviti, pronti a infilare un po’ di malvagità gratuita in tutto quello che fanno. E non dubito che ne conosciate anche voi. Ci si sente tanto spesso rompere le palle con lo (stupido) adagio secondo cui le storie dovrebbero essere più verosimili della realtà, soprattutto le storie fantastiche: ecco, se vi guardate un po’ intorno scoprirete in fretta che il “cattivo perché sì” è una figura paurosamente realistica. 
Lui era cattivo perché sì. Non lo abbiamo adorato per questo??

Il secondo motivo è che i villain nei romanzi (e particolarmente nei romanzi di fantastico) sono figure di potere – se fossero delle nullità non sarebbero un ostacolo sulla via dell’eroe – e il potere non fa quasi mai bene a nessuno. Ancora una volta, basta guardarsi attorno: le persone che aquisendo potere – di qualunque genere – migliorano come esseri umani, o anche solo rimangono come erano prima, sono una stretta minoranza. Probabilmente strettissima. A un villain, nella vita reale come nelle storie, non servono oscuri traumi infantili o complicate ragioni personali per tirare fuori il peggio di sé: la semplice possibilità di farlo tante volte basta e avanza. Un grande stregone, un terribile signore della guerra o un tiranno intergalattico che si ritrovi col potere di cambiare le cose come gli va, di far fare alle persone quel che vuole e di non dover rendere conto a niente e a nessuno per tutto questo si comporterà da mostro inevitabilmente. Perché è così che siamo fatti, che ci piaccia o meno.
(Un discorso diverso si dovrebbe fare per i villain “da gerarchia”, che non hanno potere assoluto ma devono render conto ad altri sopra di loro: magari lo farò in un altro post, oggi parliamo solo di “grandi cattivi”).

Il terzo motivo – che probabilmente è il mio preferito – è che non sempre il lettore vuole empatizzare anche con il villain: a volte (e magari volete farmi credere che sia una cosa rara??...) vuole soltanto vederlo annientato. O meglio, vuole vederlo fare cose orribili e impensabili, vuole vederlo aggredire, vessare, torturare e stritolare gli eroi e poi vederlo spazzato via come si merita. Perché nel mondo reale questa forma di giustizia è tutt’altro che scontata, ma la nostra indole ne ha una gran sete. Perché in realtà non serve neppure che l’eroe sia “buono” perché lo si voglia veder vincere (e di fatto l’eroe “buono e basta” è passato di moda da una sacco di tempo), ma serve assolutamente che il cattivo sia cattivo per farci desiderare di vederlo con la faccia nella polvere. 
È una delle massime forme di soddisfazione vicaria che una storia possa offrire. Dobbiamo odiare il villain, vogliamo odiare il villain, e nulla suscita maggiore odio della malvagità gratuita. Perchè riconosciamo per istinto che è una cosa reale, contro la quale nella nostra vita di tutti i giorni siamo per gran parte impotenti. 
Quella parte di noi che vuol vedere il cattivo che alla fine muore urlando è la stessa che, in altre circostanze, vuole farci empatizzare con lui (qui sto parlando più che altro del villain psicologicamente approfondito). In quei casi, anche noi vorremmo il suo potere, vorremmo la sua impunità, vorremmo il senso di apparente giustificazione che deriva dall’aver subito i suoi traumi. Evil is cool se il cattivo siamo noi.
Se il cattivo sono gli altri, be’, allora li vogliamo davvero cattivi, cattivi senza giustificazioni, perché il loro lavoro in una storia è sorgere come un sole nero, devastare la Terra e infine cadere nella rovina, offrendoci così quello scampolo di giustizia che la vita troppo spesso ci nega. 
E non è né giusto né sbagliato. È semplicemente umano.

lunedì 9 novembre 2015

Facciamo un bel respiro...

Da persona che ha praticato un po’ di Pranayama – che sarebbe lo yoga del respiro – e che di base respira da schifo, vi dirò che l’argomento del respiro nelle scienze occulte mi interessa non poco, ma in parecchie fonti è trattato in maniera insulsa, in toni che stanno a metà tra un corso di yoga per casalinghe e il volantino pubblicitario di un centro benessere (chiaro che sto generalizzando, non è sempre così). 
Dunque, per iniziare bene la settimana mi è venuta voglia di illustrarvi tre giochetti semplicissimi da fare col respiro, che potete provare pure senza alzarvi dalla seggiola del pc o al massimo andando a stendervi sul divano, e che – mi auguro – vi divertiranno anche se non siete riprovevoli figuri che pasticciano con la magia. 
Ovviamente non li ho inventati io, anzi sono tutto meno che segreti esoterici (li conoscono bene gli atleti come gli attori, ad esempio) ma non sempre li si trova spiegati in maniera user-friendly. Tenete conto anche che non funzionano allo stesso modo su tutti, perché ognuno di noi ha reazioni diverse a esperienze come l’iperossigenazione, quindi non ve la prendete con me se all’inizio gli effetti non dovessero essere eclatanti. Anche qui, come in quasi tutte le cose, la pratica fa l’uomo maestro. 
Pronti? 
Partiamo! 

1: Droghiamoci d’aria 
Questa pratica gli yogi la chiamano “respiro di fuoco” e la conosce più o meno chiunque abbia fatto Pranayama, ma ora vi spiego una versione semplificata che serve a uno scopo ben preciso.

Non era quello che intendevo con respiro di fuoco,
ma ci siamo capiti...
Stendetevi, rilassatevi e fate qualche lungo respiro tranquillo. Quando non vi sentite più tesi, inspirate ed espirate velocemente a bocca aperta (sì, proprio quello che i salutisti della respirazione dicono sempre di non fare!) contanto fino a 20. Ogni inspirazione e ogni espirazione conta come 1, quindi in totate farete 10 respiri completi. Arrivati a 20 ricominciate a respirare dal naso, in maniera tranquilla e ritmica, di nuovo contando fino a 20. Poi ripetete la sequenza veloce con la bocca, anche più volece di prima se vi va, e poi di nuovo lentamente dal naso. Potete ripetere per quante volte volete, ma è meglio non esagerare e ve ne accorgerete subito da soli. 
L’aspetto divertente di questo esercizio è che ha lo stesso effetto degli oppiacei, ovvero attiva nel cervello quei neurotrasmettitori che nei neonati vengono stimolati dal poppare il latte materno. In parole povere, vi manda in botta e vi fa tornare mentalmente – per qualche secondo – a quando avevate due mesi di vita. 
Non mi credete? Provateci! 

2: Energia a palla 
Il secondo esercizio è un filo più complicato del primo ed è tipico dei maghi postmoderni. Serve per accumulare energia, ma è utile anche solo per sentirsi bene. 
Può essere anche meno epico di così, ma rende l'idea
Restate seduti o alzatevi in piedi (non conosco nessuno che lo faccia da sdraiato, ma immagino sia possibile...), chiudete gli occhi e inspirate. Immaginate che la vostra energia sia una sfera luminosa al centro del petto: quando ispirate, la sfera si allarga attorno a voi, quando espirate si contrate fino a diventare una piccola palla sovraposta al vostro cuore. Fate lunghi respiri calmi ma profondi, sempre più profondi, e a ogni respiro allargate sempre di più la sfera: deve arrivare almeno al diametro delle vostre braccia aperte, ma se ve la sentite potete farla anche più grande. 
Procedete con calma e immaginatela bene, vedetela che si espande non solo davanti a voi ma anche dietro, sopra e sotto. È probabile che dopo un po’ comincerete a visualizzarla di un colore ben preciso, che facilmente resterà lo stesso anche se rifarete l’esercizio in futuro: è un bene, significa che cominciate ad avere una percezione della vostra propria energia. 
Quando arriverete alla massima capienza dei vostri polmoni, anche la sfera avrà raggiunto la sua dimensione massima, e quasi di certo vi sentirete carichi di forza. Potrebbe venirvi voglia di correre o saltellare. A quel punto i maghi prendono l’energia accumulata e la canalizzano da qualche parte, ma voi potete anche solo esalare un ultimo lungo respiro, riaprire gli occhi e tornare alle vostre faccende quotidiane con una riserva di energia che prima non avevate. 
Se ci provate davanti a una fonte di luce naturale, come il sole o la luna o un falò, o anche solo il riflesso del cielo sull’acqua, noterete che l’effetto è anche più intenso, a volte davvero esaltante. 

3: Respirazione VM18 
Terzo e ultimo esercizio, tristemente riservato solo alle lettrici, in quanto non mi risulta che funzioni sugli uomini (o meglio, immagino che un vero yogi lo saprebbe far funzionare, ma abbiate pietà di me che sono solo un povero stregone da marciapiede...) 
Viene dal Tantra ma in Occidente lo chiamano prosaicamente orgasmic breath, e avrete già capito a cosa serve: a provocare un orgasmo con la pura e semplice respirazione. Sul serio, con le mani in tasca e i vestiti addosso. Ovviamente, essendo uomo, di persona non l’ho mai provato, ma conosco donne su cui funziona. Alcune ci riescono anche istintivamente, senza nemmeno conoscere la tecnica, che in sé è piuttosto semplice. 
Avete presente??
Dovete stendervi e rilassarvi come al solito (o anche restere sedute, c’è chi preferisce così) e cominciare a prendere lunghi respiri, profondi e tranquilli, immaginando che l’aria scenda come un fiume giù lungo la vostra colonna vertebrale fino nei genitali e da lì risalga a flusso verso il naso. È importantissimo non avere fretta: se siete di corsa, rimandate l’esperimento a momenti più tranquilli. Dopo alcuni respiri dovreste accorgervi che c’è almeno un punto del vostro corpo in cui l’immaginario passaggio dell’aria vi dà una sensazione più gradevole che altrove: in genere è nei genitali, ma potrebbe anche essere da un’altra parte. Una volta individuato quel punto, concentrate lì il passaggio dell’aria e accelerate il ritmo, in sequenza crescente: se vi sentite come Meg Ryan in quella scena di Harry ti presento Sally, ecco, lo state facendo bene. 
Da questo punto in avanti non credo serva spiegare altro...