lunedì 30 maggio 2016

Di maghi e guerrieri


Sono profondamente convinto che tutti i maghi dovrebbero combattere. 
A dire la verità sono convinto che tutti nella nostra società dovrebbero combattere, indipendentemente dal sesso o dall’età, ma in questa sede limitiamo pure il discorso ai bazzicatori di pratiche occulte. 
Per combattere – è meglio specificarlo – intendo praticare una qualche forma di violenza fisica codificata. Uno sport di combattimento, se preferite (ma non solo). 

Di solito, se parlo di me stesso, dico di essere “pacifico, non pacifista”. Con questo non intendo soltanto che la mia pazienza è relativamente vasta ma ha un limite (dato piuttosto scontato, che a vari gradi vale per chiunque), ma anche che non mi sembra una buona idea sradicare la violenza dalla società umana
Siamo tutti d’accordo che un mondo in cui non ci si ammazza né ci si aggredisce a vicenda ogni volta che ci gira è un mondo fattivamente migliore: se non devo preoccuparmi ogni sera che tu mi accoltelli nel sonno, dormo meglio. D’altronde la civiltà l’abbiamo inventata anche per questo (con tutto che non sempre funziona), e in ogni caso i campi in cui possiamo competere gli uni con gli altri in maniera ferocissima ma non fisicamente violenta non mancano di certo (forse nessuno lo sa meglio di chi lavora in un ufficio…)  

Il punto è che in natura la violenza fisica fa parte della vita biologica a tutti i livelli, dai microrganismi agli animali superiori. 

Si può decidere di non pensarci, ma è così lo stesso. I batteri si sbranano a vicenda (e sbranano noi, se glielo lasciamo fare); gli animali si aggrediscono, si feriscono e si uccidono per mangiare, per lo spazio vitale, per conquistarsi il diritto al sesso, per difendere i propri piccoli; gli esseri umani, in più, si possono saltare alla gola per le idee, che è una novità tutta nostra. Persino le piante sono fisicamente violente e si assalgono le une con le altre in modi che neanche ci immaginiamo (come dice sempre un mio saggio amico, “Se non si muove non vuol dire che non stia attaccando”), dall’avvelenare il terreno che le circonda per far fuori le rivali all’intramontabile pratica del cannibalismo. 
Con tutto ciò non intendo che mi piacerebbe tornare a un’organizzazione sociale in cui va bene se il mio vicino mi spacca la testa con la clava perché vuole la mia macchina. Non sono psicopatico (non in questo modo, perlomeno). Ma intendo che pensare di vivere in una società che trascenda del tutto la violenza fisica è pura utopia, e – ancor di più – che provarci è pericoloso
Non sono idee nuove, anzi hanno più o meno l’età della civiltà umana: tanto per fare un esempio, per gestire l’impulso alla violenza e disinnescarne le conseguenze abbiamo inventato lo sport, che non è esattamente una pensata dell’anno scorso. 

Finita questa tirata – che magari sembra inutile ma fidatevi che non lo è – torno all’argomento di partenza: perché secondo me tutti i maghi nel mondo di oggi dovrebbero combattere? Sostanzialmente per tre ragioni: 

1. Perché, come ho insistito a dire finora, non possiamo farne a meno. Non possiamo come organismi biologici, non possiamo come specie, non possiamo come società. Siamo programmati per la violenza fisica, è nei nostri geni. E se pensi non dico di poter rimuovere, ma anche solo di poter trascurare una componente fondamentale della tua natura sia di individuo che di essere umano, ti candidi a diventare il peggior mago della storia. 

2. Perché ti fa bene a livello fisico (dato meno banale di quel che sembra) e soprattutto ti fa bene a livello disciplinare. Nessuna forma di violenza fisica è totalmente caotica, nemmeno la più ignorante scazzottata da bar che possiate aver visto in vita vostra. Semplicemente perché la violenza “a caso” non è efficace. Anzi, più un’interazione fisica è organizzata e disciplinata, più aumenta la sua efficacia pratica: millenni di arti marziali stanno lì a dimostrarlo. Una forma di combattimento altamente strutturata è tra le discipline psico-fisiche migliori che un essere umano possa sperare di trovarsi fra le mani. E gli Dèi sanno se i maghi di oggi non hanno un bisogno disperato di disciplina (su questo si potrebbe aprire un discorso molto più lungo, che terrò per un’altra occasione). 

3. Punto più importante di tutti, perché combattere ti toglie tutte le maschere. Chiunque abbia praticato anche solo per un po’ una forma di combattimento lo sa benissimo, e viceversa chi non ha mai combattuto non se lo immagina neppure. Quando combatti ritorni te stesso. Non ti puoi più nascondere. Tutti i personaggi che usi per interagire con il mondo, con le persone che ti sono care, con i colleghi di lavoro, con il pubblico (per chi ha un pubblico) e pure con te stesso svaniscono all’istante. Se sei un timido abituato a fare lo sbruffone, scoprirai che combatti da timido; se sei un tipo fondamentalmente calmo che crede di non essere bravo a controllarsi, scoprirai che combatti con una calma di cristallo; se sei un fascio di nervi che pensa di essersi quietato con gli anni, scendi nell’arena e ti ritroverai come una corda di violino (quest’ultimo caso ovviamente sono io). 
E anche nel caso non te ne accorgessi tu, se ne accorgeranno infallibilmente tutti quelli che ti guardano combattere (e se sono gentili te lo faranno notare). Che ti piaccia o meno, i tuoi compagni di combattimento saranno tra le poche persone che ti vedranno veramente per quello che sei, senza possibilità di scampo. 

Non mi credete? 
Fate la prova. Non ci vuole tanto. 
Personalmente, pratico lo sport più nerd che si possa immaginare: la scherma con la spada laser. E da quando ho cominciato (non moltissimo), tutto quel che ho scritto qui sopra mi appare talmente chiaro che mi fa ridere pensare dei non averlo mai capito prima. 
Insomma, cari amici stregoni, sciamani, occultisti (e non): se volete conoscere un po’ di più voi stessi, imparate a menare le mani. 
Trust me.

lunedì 9 maggio 2016

In uscita il mio nuovo romanzo ^_^


Giusto per dimostrare che non raccontavo balle quando dicevo che sto per uscire con un nuovo libro… sto per uscire con un nuovo libro :-P 

Si intitola Di metallo e stelle – L’apprendista di Leonardo

È un romanzo per ragazzi. Lo pubblica Gainsworth e verrà presentato tra tre giorni (giovedì 12 maggio) al Salone del Libro di Torino. Poi lo troverete anche in libreria e negli store on line (Amazon e via dicendo) dalla settimana prossima, sia in cartaceo che in digitale. 
In realtà non è un libro “nuovo”: l’ho scritto nel 2012, su commissione, come parte di un progetto che poi non si è mai concretizzato. Quest’anno ha trovato casa altrove, e con il trattamento adorabile che Gainsworth gli ha riservato (guardate anche solo questo spettacolo di copertina, opera di Rita Micozzi) non potrei essere più felice di così!

La commissione del 2012 mi chiedeva specificamente di scrivere un fantasy ambientato nel Rinascimento italiano, che avesse per setting un castello e che parlasse di arte, di amore e di mostri. Quel che ne ho tirato fuori lo vedete nella quarta di copertina: 
Milano, 1499.
Il Castello Sforzesco è sotto assedio, fuori dall'esercito francese e dentro da un assassino che nessuno può vedere o fermare. 
La tranquilla esistenza di Giacomo, giovane apprendista di Leonardo da Vinci, viene all'improvviso sconvolta dai segreti blasfemi del suo maestro, che riportano alla luce enigmi, misteri alchemici, veleni e, soprattutto, presenze mostruose. 
Salvare la sua amata Cecilia dalle grinfie del Duca di Milano si trasforma in un'impresa quasi impossibile di fronte alla folle missione che il caso pare avergli affidato: fermare una creatura che non dovrebbe esistere fuori dagli incubi, ma che sembra ben intenzionata a togliergli tutto ciò che ha importanza nella sua vita.  
Attenzione però, non aspettatevi un romanzo storico. Questo è un puro fantasy in ambientazione storica: molti dettagli storici sono corretti, ma gli eventi che vi leggerete (se vorrete leggerlo) sono una mia elaborazione di “come sarebbero potute andare le cose”, non un racconto di come sono andate realmente. Dunque ci troverete alchimia e nobili malvagi, veleni e macchine impossibili, duelli sui tetti e gente che vola, e spero sarà sufficiente per tenervi allegri un pomeriggio (è un libro abbastanza breve, e autoconclusivo). 

Come dicevo sopra, la presentazione ufficiale sarà questo GIOVEDÌ ALLE ORE 12.00 presso lo Spazio Incontri del Salone del Libro di Torino, nell’ambito di un panel intitolato Il Fantasy italiano: genere da proteggere o illusione commerciale?, a cui oltre a me parteciperanno Ester Trasforini – che presenterà a sua volta il suo divertentissimo fantasy La principessa sbagliataJulia Sienna, Ronnie Pizzo, Manou Hanoi e la mia carissima Aislinn come ospite speciale.
Io sarò presente al Salone anche SABATO 14, più o meno per tutto il giorno (se volete incrociarmi provate a messaggiarmi e accendete un cero agli dèi del wi-fi), e mi troverete allo stand di Gainsworth (K11 padiglione 2) per un FIRMACOPIE TRA LE 17.00 E LE 18.00.

Che altro resta da dire…vi auguro una settimana piena di metallo e stelle!

mercoledì 4 maggio 2016

Una notte delle streghe lunga diecimila anni


E così sabato scorso, la notte del 30 aprile, mi ritrovo a Na Kampě, un’isoletta della Moldava nel cuore di Praga, praticamente sotto il Ponte Carlo (se andate dalla Città Vecchia a Malà Strana ve la trovate in fondo al ponte sulla destra). Sono le prime ore della sera, ha appena cominciato a far buio: con me ci sono le tre persone più importanti della mia vita, ho in testa una ghirlanda di foglie verdi e davanti ai miei occhi brucia un fuoco di Beltane. 
Non siamo qui a Praga per questo, anzi fino a pochi giorni prima non avevamo nemmeno idea che nella Repubblica Ceca i festeggiamenti per Beltane fossero una cosa normale. Ma forse il caso non esiste, o forse sono solo fortunato, e l’informazione è arrivata per tempo. Scoprire ora e luogo esatti, peraltro, non è stato facilissimo: la mia guida turistica era assai vaga in merito, le notizie on line erano contraddittorie e la vecchietta del centro informazioni cittadino, con il suo inglese volenteroso ma andante, non ci era sembrata terribilmente convinta. Ma ci ha dato le indicazioni corrette. 
I cechi la chiamano la Notte delle Streghe o il Rogo delle Streghe (Pálení Čarodějnic, non chiedetemi come si pronuncia), e nella migliore tradizione millenaria la festeggiano accendendo fuochi sulle colline in varie parti del paese. A Praga tutto inizia nella piazza centrale di Malà Strana, a un tiro di freccia dalle mura del Castello: verso l’ora di cena si raduna una piccola folla, con molti bambini e un certo numero di donne di tutte le età vestite da streghe. La più anziana potrebbe essere mia madre, la più giovane mia figlia. A una prima occhiata sembrano semplici costumi da carnevale, ma se si guarda meglio non sfugge un po’ di simbologia esoterica qua e là (mi colpisce soprattutto una donna non giovane con un realistico terzo occhio dipinto in fronte). 
Intendetemi, siamo ben lontani dalla folla oceanica del Beltane Fire Festival sulla collina di Calton a Edimburgo, ma non sono nemmeno quattro gatti. 
A un certo punto, guidata da un banditore in abiti medievali che suona un corno, la folla parte in processione per le vie di Praga; la precedono ragazzi in tunica grigia che suonano tamburi di pelle; dietro di loro vengono le donne in costume, che ballano agitando rami d’albero e lanciano grida che avrebbero poco da invidiare a un corteo di menadi; dietro a tutti viene un carretto con l’effige di stoppa di una strega, ovviamente destinata a finire nel fuoco (ad acuire ancor di più la somiglianza con la nostra Befana, il fantoccio porta in mano un sacco traboccante di buste, che immagino siano lettere scritte dai bambini). 
Il corteo, che procede senza alcuna fretta, arriva alla testa del Ponte Carlo, scende giù sulla banchina del canale di Čertovka (che curiosamente significa “Canale del Diavolo”, anche se ho trovato dati contrastanti sull’origine del nome) e si dirige al parco alberato nel centro di Na Kampě, dove la pira per il fuoco è già pronta, circondata di bancarelle, suonatori e artisti da strada. La gente che vede passare il corteo si ferma e naturalmente lo fotografa coi cellulari, ma è palese che non è un evento turistico: non è pubblicizzato da nessuna parte, la gente non ne parla, e sarebbe bastato trovarsi dall’altra parte del ponte per non accorgersene neppure. Chiaramente ai praghesi non sembra una cosa che valga la pena segnalare ai visitatori.
Io e i miei compagni di viaggio siamo in prima fila quando il fuoco viene acceso, e l’atmosfera cambia in maniera percettibile. Il fantoccio brucia subito con una gran fiammata, quasi senza lasciare traccia. Il ritmo dei tamburi si fa ossessivo. Le “streghe” lanciano i loro rami sulla pira e danzano in cerchio attorno al fuoco, le più giovani con movimenti sinuosi, dionisiaci. L’aria della sera si fa sempre più scura, e le fiamme sempre più alte.

Non posso fare a meno di domandarmi a cosa sto assistendo.
Un carnevale locale? Senza alcun dubbio. La folla è piena di bambini che si divertono, anche le “streghe” ridono e fanno smorfie mentre ballano e ogni tanto dalla folla qualcuno per gioco fa il gesto di afferrarne una e gettarla nel fuoco al grido di “Pále! Pále!” (“Brucia! Brucia!”) 
Eppure c’è dell’altro, basta guardare bene. Alcune delle “streghe”, soprattutto le più giovani, gridano e ballano con uno spirito selvaggio che ha ben poco della pura mascherata carnevalesca. Nella penombra, tra la gente, proprio davanti a me, una ragazza con una gonna a fiori punta verso le fiamme le mani con i palmi aperti e le tiene ferme, a lungo, in un gesto inequivocabile. Un’altra (la vedete di spalle in questa foto) si stacca dalla folla, si avvicina al fuoco e resta in piedi, reverente. Uno dei pompieri che sorvegliano il falò la tocca sul braccio e le fa cenno di allontanarsi un po’. Lei obbedisce. E poi si inginocchia. 
Stiamo parlando di un paese dove, lo sappiamo, mezzo secolo di comunismo ha fatto piazza pulita della chiesa cattolica come di quella ortodossa, ancor più nelle teste della gente che per le strade delle città: di antiche chiese ce ne sono ovunque a Praga, ma appena prima di partire leggevo che il 79% dei praghesi si dichiara ateo, agnostico o semplicemente non religioso. 
Ma i fuochi di primavera sono ancora lì, a bruciare sulle colline e nei prati ogni inizio di maggio. Forse ininterrottamente da prima del comunista, del crociato, del soldato romano, del guerriero indoeuropeo. Forse, a modo suo, quel fuoco non si è mai davvero spento negli ultimi diecimila anni. 
Certo, tante cose sono cambiate. Ma tante sono rimaste le stesse. Le donne ballano ancora in cerchio con il ramo di maggio in mano. I tamburi rimbombano. La gente mangia, beve e festeggia alla luce delle fiamme. E sulla pira brucia un’effige che, in un immaginario che non ha più di qualche secolo, può anche passare per una stregaccia medievale da ridurre in cenere, ma rimane sempre e comunque lo Spirito dell’Inverno, la vecchia Dea della stagione morta, la Cailleach, la Befana, che conclude nel fuoco e nella luce il suo mezzo anno di regno.
Non posso sapere quante delle persone riunite quella sera a Na Kampě fossero consapevoli di partecipare a un rito antichissimo, mascherato sì da folclore, ma con una maschera di cartone, ancor meno convinta dei più buffi tra i costumi delle “streghe” praghesi. 
Eppure erano là, c’erano l’anno prima, e ci saranno ancora l’anno che verrà. 
Perché accade tutto questo? I miei amici pagani forse direbbero che gli dèi ci sono e non smettono mai di farsi sentire. I miei amici cristiani, che le superstizioni sono dure a morire. E i miei amici razionalisti, che l’uomo ha sempre bisogno di qualcosa di invisibile a cui aggrapparsi, anche quando diventa inverosimile farlo. Come al solito, una risposta io non ce l’ho. 
Prima di andarmene per tornare alle luci serali e alle belle strade di Praga, anch’io ho lanciato nel fuoco la mia ghirlanda di foglie, assieme a una ciocca di capelli. 
Non abbiamo dimenticato.