mercoledì 24 agosto 2016

Un anno in Capanna




Ecco un tipico partecipante al Castlefest.
Il tizio con le corna in primo piano,
invece, non so chi sia
Ho aperto questo blog proprio un anno fa, il 24 agosto 2015. 
Da allora sono passati 365 giorni, 30 post (escluso questo che state leggendo) e un certo quantitativo di vita, che a volte mi sembra tragicamente troppo e altre volte tragicamente troppo poco. 
Sono abbastanza soddisfatto dei miei post anche se avrei voluto riuscire a scriverne di più. Ma mi sono reso conto che per pubblicare solo cose che abbiano un minimo di senso e di potenziale interesse, anziché “scrittura web” buona solo per acchiappare un tot di visite ogni giorno… be’, serve tempo. Più di quanto pensavo di averne. 
In ogni caso non intendo fare bilanci sul blog (a voler ben vedere ne ho già fatti qui il Natale scorso), ma ho deciso di condividerne qualcuno sulla mia vita in generale. Quindi, se dell’argomento non vi frega niente, è meglio se skippate oltre! 

Riflessione n. 1 
Non sono stanco. Non so se lo avete notato anche voi, ma “sono stanco di questo”, “sono stufo di quest’altro”, “non ne posso più di quest’altro ancora” e affini sono tra le frasi più comuni che si leggono in qualunque conversazione on line. Io ho deciso che non sono stanco. Che le cose che non mi vanno nel mondo o nella mia vita non sono un buon argomento di conversazione. Che, se devo parlare, mi piace molto di più farlo delle cose che NON mi irritano, NON mi hanno stufato, NON vorrei veder sparire dalla faccia della Terra. In altre parole, mi piace parlare di cose fighe. E scusatemi è se non è trendy. 

Riflessione n. 2  
I want to get real.
All’apertura di ogni concerto degli Omnia (che se non lo sapete sono la mia folk band preferita) il loro frontman, il cantante-compositore-stregone-archeomusicista Steve “Sic” Evans, si rivolge sempre al pubblico con una frase che suona più o meno “This is real music for real people, we are real players, these are real instruments, we are really here and so are you!” E questo per me è diventato una specie di mantra: qualunque cosa faccio ora, voglio che sia qualcosa di vero per persone vere, me stesso in primis. Vera magia, vere amicizie, vere emozioni, veri viaggi, veri libri per veri lettori. Io voglio esserci dentro fino al collo, e voglio che ci siate dentro voi, sempre. Per un mondo di plastica non c’è più posto, non c’è più tempo e soprattutto non c’è più nessun interesse. 

Riflessione n. 3
Dopo attenta riflessione e svariati congressi di dibattito con nessuno, sono arrivato alla banale conclusione che Facebook mi piace, e non è un’invenzione degli Dèi del Male. Per me che lavoro buona parte della giornata al pc, Facebook è niente di più e niente di meno che la possibilità di lavorare in una sorta di immenso open space virtuale in cui lavorano con me tutti i miei amici. In un open space reale ci si parla da una scrivania all’altra, si esce a fumare insieme, ci si incontra alla macchinetta del caffè: allo stesso modo con Facebook io posso far pausa ogni volta che posso/voglio e chiacchierare con amici che magari stanno dall’altra parte dell’oceano ma sono comunque “lì con me”, a rendere meno pesante la mia giornata di lavoro (e io a rendere meno pesante la loro, spero…) Non so a voi, ma a me non sembra poco. 
Un ufficio dove ALCUNI vorrebbero lavorare...
Semmai – altra constatazione banale – quel che NON si deve fare è usare Facebook per le cose alle quali non serve, o peggio nelle quali è dannoso. In questo senso, per me è importantissimo avere nel mio spazio solo persone con le quali VOGLIO avere a che fare. 
Ci ho messo un po’ a capirlo, perché quando ho aperto il mio profilo nel 2013 l’ho fatto anche perché stava per uscire il mio Godbreaker e le prenotazioni in libreria erano tristemente basse, problema al quale speravo di porre un po’ di rimedio rendendomi più visibile on line.
Con il tempo, avendo finalmente capito che di vendere i miei libri non me ne frega granché, e anzi sono potentemente avverso all’idea di auto-pubblicizzarmi, ho cominciato – prima inconsciamente, poi con piena intenzione – a trasformare il mio profilo da spazio pubblico in cui accettavo più o meno tutti a spazio privato in cui può entrare solo chi dico io (il che non significa che non ci siano anche miei lettori, ma sono tutte persone che ho piacere di “frequentare”, con ovvio e inalienabile diritto di recesso da entrambe le parti). L’opera di selezione è ancora in corso e ci sono elementi che devono ancora essere eliminati, ma un passo per volta. 

Riflessione n. 4
Non ho più molta voglia di cose facili. Non so, sarà l’età, ma in questa fase della mia vita mi scopro sempre più spesso a desiderare sfide più impegnative, a qualunque livello: argomenti più difficili da studiare, discipline fisiche più difficili da padroneggiare, viaggi più difficili da portare a termine, libri più difficili da leggere e libri più difficili da scrivere. Voglio credere davanti a me stesso di essermi upgradato al di là della facilità.

Riflessione n. 5
La scena dell’occultismo italiano (se di “scena” si può parlare in un paese come il nostro) oggi è un disastro di proporzioni bibliche, ancora peggio di quel che ricordavo una decina d’anni fa. Per cui non me ne vogliate, vi prego, se continuo a non frequentarla e sono fermamente intenzionato a non farlo in futuro. 

Riflessione n. 6
Collegandomi alla riflessione precedente, tento di rispondere una volta per tutte a una richiesta che mi viene fatta con una certa regolarità: IO NON PRENDO ALLIEVI. E non per spocchia o per chissà quali altre astruse ragioni ma perché semplicemente io non posso insegnare nulla a nessuno, tantomeno la magia o lo sciamanesimo. Io NON sono un maestro: sono uno studente, e pure abbastanza lento. Fidatevi, non imparereste niente da me che non potreste trovare da soli nei libri di testo, spiegato meglio di quanto potrei fare io.

Riflessione n. 7
“Uscire dalla propria comfort zone” è uno dei concetti più fraintesi – e ciononostante più ripetuti a pappagallo – dalla nostra società. 

Riflessione n. 8
Meno chiacchiere, più magia! 

Boh, non mi viene in mente altro da aggiungere. Penso però che sarebbe bello se tra un anno fossimo ancora qui, a festeggiare la seconda candelina della mia piccola Capanna. In attesa di quel momento, mi voglio permettere di esprimere il mio attuale programma di vita rispondendo con sincerità alla domanda dell’adorabile Black Philip qui di lato.
E la mia risposta è “YES”

giovedì 18 agosto 2016

Recensioni, o i diavoli alla finestra


...Ed ecco che torno a parlare di letteratura. Stavo per dire che lo faccio contro la mia volontà, ma non è vero: se davvero non volessi scrivere un post, non lo farei. Diciamo allora che lo faccio contro il mio stesso buonsenso, e riproponendomi di smetterla una buona volta (come Alice, anche io mi so dare degli ottimi consigli, ma non sono tanto bravo a seguirli…)

Di recente mi hanno chiesto – ancora una volta – “Ma perché non cominci a scrivere recensioni?”
In realtà era da un bel po’ che non succedeva, ma per una serie di ragioni la domanda questa volta mi ha fatto riflettere. Chi mi conosce sa che non solo non ne ho mai scritte, ma in genere non ne leggo nemmeno, e soprattutto non leggo quelle che mi riguardano (a meno che qualcuno non mi chieda espressamente di farlo, e ogni tanto ho risposto comunque di no). 
Ora però voglio spiegare una volta per tutte perché non scrivo recensioni e non ne scriverò mai (a meno di subire un trauma cranico con annessa inversione della personalità o di essere sostituito da un ultracorpo): io ritengo – e ho motivo di ritenere – che recensire, nella forma in cui lo si intende oggi, sia un atto indebito, inutile e in contraddizione intrinseca con se stesso.

Recensori che abbiamo amato...
Facciamo un po’ di chiarezza. 
Un conto è consigliare – o sconsigliare – un’opera (d’ora in poi userò sempre questo termine generico, visto che il discorso vale più o meno allo stesso modo per libri, film, telefilm, fumetti e altri prodotti affini) perché ci è piaciuta e pensiamo possa piacere a chi ha gusti simili ai nostri. È quel che faccio anch’io in questa sezione del mio blog, anche se di rado e solo quando me ne viene voglia. In questo caso si sta esprimendo un giudizio del tutto personale, esplicitamente soggettivo, e lo si fa – almeno spero – perché è naturale provare gusto nel consigliare qualcosa che ci è piacito (specularmente, sconsigliare di nostra pura iniziativa quel che non ci è piaciuto, senza che nessuno ce lo abbia chiesto, mi sembra un atto già un po’ meno legittimo sul piano dell’etica e del buon gusto, ma soprassediamo). 
Un conto del tutto diverso è recensire nell’accezione moderna e “tecnica” del termine. Una recensione oggettiva pretende di basarsi su criteri oggettivi, ossia universali, precisi, sempre spiegabili e validi in qualunque caso. 
Prendiamo come esempio le recensioni negative (il discorso funziona anche con quelle positive ma con quelle negative è più facile; oh quanto è più facile…) Se io volessi recensire negativamente e in maniera obiettiva un film o un libro non potrei dire che fa schifo perché, che so, mi è antipatico l’argomento di cui parla: dovrei invece spiegare che è scritto male o girato male, che i personaggi non sono psicologicamente credibili, che gli attori sono dei cani, che il montaggio è fatto a cazzo, che gli archi narrativi non hanno senso, che la storia straripa di infodump, che manca lo show don’t tell o altre amenità assortite che abbiamo letto e sentito tutti un milione di volte di troppo. 
In altre parole, per fare una recensione obiettiva serve necessariamente una griglia di riferimento. È da quella che deriva tutta l’ipotetica obiettività: la mia recensione ha un valore intrinseco perché non si basa su opinioni o gusti miei, che in se stessi valgono quanto quelli di chiunque altro, ma sull’applicazione sistematica di una serie di criteri fissi, elencabili, studiabili e soprattutto sempre validi. 
Se si parla di libri, posso decidere che la griglia di riferimento è una determinata scuola di scrittura o un determinato manuale; se si parla di cinema, avrò come modello una determinata scuola di cinema, o il pensiero di un determinato teorico del settore, e così via. Naturalmente posso anche crearmi una griglia mia, come sintesi di tutto quel che ho letto, osservato, studiato e valutato. O posso scegliere griglie che non hanno per forza attinenza diretta con quel che sto recensendo: un esempio molto usato è quello di chi valuta usando come criterio i principi della sua religione (ad es. un cristiano per il quale un libro che propone valori cristiani è automaticamente un buon libro, e viceversa).

E siamo arrivati al semplice nodo del problema: la scelta di una griglia di riferimento è a sua volta una scelta, ossia niente di diverso da un’opinione personale. Perché, amici miei, i criteri oggettivi e universali per la valutazione di un’opera artistica non esistono. Sono un abbaglio nella migliore delle ipotesi, e nella peggiore una mistificazione fatta in malafede. 
Un simpatico diavolo alla finestra
Non esiste né è mai potuto esistere l’equivalente di una “comunità scientifica” per i prodotti artistici e/o di intrattenimento, ed è precisamente per questo che non esiste nemmeno un peer reviewing per libri, film o simili. Il concetto stesso è assurdo, e anche un po’ ridicolo. Ci possono essere pareri genericamente giudicati più autorevoli di altri – registi o scrittori famosi, accademici quotati, scuole di critica cinematografica o letteraria – ma di nuovo non si tratta di altro che di vox populi, o più spesso del suo triste contrario (micro-gruppetti di critici inaciditi che per varie ragioni odiano i gusti del grande pubblico, e che quindi costituiscono semplicemente un “popolo” più piccolo). 
Non c’è nulla di “scientificamente obiettivo” in tutto questo, e chi cerca di farvelo credere vi sta prendendo per il culo, anche se non sempre lo sa. Magari se ne potrà riparlare quando – e se – avremo un perfetto diagramma matematico del funzionamento della mente umana con tutti i suoi processi emotivi e cognitivi: forse a quel punto potrà esistere una vera scienza della “giustezza” o “sbagliatezza” di un’opera artistica. E sottolineo forse
Fino ad allora, l’opinione personale rimarrà un diavolo che rientra eternamente dalla finestra, pur facendolo a un livello più basso, alle radici del ragionamento anziché al suo culmine. Lì è più difficile notarla, ma c’è lo stesso e continua a farla da padrone. 

Quindi, per quanto mi riguarda vengano pure tutte le analisi critiche di qualsivoglia opera basate su tutti i criteri che più vi piacciono di più, che siano le vostre esperienze personali o quelle di qualcun altro. Non sarò mai io a negare l’autorevolezza di determinati pareri, che è qualcosa di ben diverso dalla pretesa di obiettività universale: se cercate di spacciare quest’ultima a casa mia, vi garantisco che avrete più fortuna cercando di vendermi un chupacabra.