giovedì 18 agosto 2016

Recensioni, o i diavoli alla finestra


...Ed ecco che torno a parlare di letteratura. Stavo per dire che lo faccio contro la mia volontà, ma non è vero: se davvero non volessi scrivere un post, non lo farei. Diciamo allora che lo faccio contro il mio stesso buonsenso, e riproponendomi di smetterla una buona volta (come Alice, anche io mi so dare degli ottimi consigli, ma non sono tanto bravo a seguirli…)

Di recente mi hanno chiesto – ancora una volta – “Ma perché non cominci a scrivere recensioni?”
In realtà era da un bel po’ che non succedeva, ma per una serie di ragioni la domanda questa volta mi ha fatto riflettere. Chi mi conosce sa che non solo non ne ho mai scritte, ma in genere non ne leggo nemmeno, e soprattutto non leggo quelle che mi riguardano (a meno che qualcuno non mi chieda espressamente di farlo, e ogni tanto ho risposto comunque di no). 
Ora però voglio spiegare una volta per tutte perché non scrivo recensioni e non ne scriverò mai (a meno di subire un trauma cranico con annessa inversione della personalità o di essere sostituito da un ultracorpo): io ritengo – e ho motivo di ritenere – che recensire, nella forma in cui lo si intende oggi, sia un atto indebito, inutile e in contraddizione intrinseca con se stesso.

Recensori che abbiamo amato...
Facciamo un po’ di chiarezza. 
Un conto è consigliare – o sconsigliare – un’opera (d’ora in poi userò sempre questo termine generico, visto che il discorso vale più o meno allo stesso modo per libri, film, telefilm, fumetti e altri prodotti affini) perché ci è piaciuta e pensiamo possa piacere a chi ha gusti simili ai nostri. È quel che faccio anch’io in questa sezione del mio blog, anche se di rado e solo quando me ne viene voglia. In questo caso si sta esprimendo un giudizio del tutto personale, esplicitamente soggettivo, e lo si fa – almeno spero – perché è naturale provare gusto nel consigliare qualcosa che ci è piacito (specularmente, sconsigliare di nostra pura iniziativa quel che non ci è piaciuto, senza che nessuno ce lo abbia chiesto, mi sembra un atto già un po’ meno legittimo sul piano dell’etica e del buon gusto, ma soprassediamo). 
Un conto del tutto diverso è recensire nell’accezione moderna e “tecnica” del termine. Una recensione oggettiva pretende di basarsi su criteri oggettivi, ossia universali, precisi, sempre spiegabili e validi in qualunque caso. 
Prendiamo come esempio le recensioni negative (il discorso funziona anche con quelle positive ma con quelle negative è più facile; oh quanto è più facile…) Se io volessi recensire negativamente e in maniera obiettiva un film o un libro non potrei dire che fa schifo perché, che so, mi è antipatico l’argomento di cui parla: dovrei invece spiegare che è scritto male o girato male, che i personaggi non sono psicologicamente credibili, che gli attori sono dei cani, che il montaggio è fatto a cazzo, che gli archi narrativi non hanno senso, che la storia straripa di infodump, che manca lo show don’t tell o altre amenità assortite che abbiamo letto e sentito tutti un milione di volte di troppo. 
In altre parole, per fare una recensione obiettiva serve necessariamente una griglia di riferimento. È da quella che deriva tutta l’ipotetica obiettività: la mia recensione ha un valore intrinseco perché non si basa su opinioni o gusti miei, che in se stessi valgono quanto quelli di chiunque altro, ma sull’applicazione sistematica di una serie di criteri fissi, elencabili, studiabili e soprattutto sempre validi. 
Se si parla di libri, posso decidere che la griglia di riferimento è una determinata scuola di scrittura o un determinato manuale; se si parla di cinema, avrò come modello una determinata scuola di cinema, o il pensiero di un determinato teorico del settore, e così via. Naturalmente posso anche crearmi una griglia mia, come sintesi di tutto quel che ho letto, osservato, studiato e valutato. O posso scegliere griglie che non hanno per forza attinenza diretta con quel che sto recensendo: un esempio molto usato è quello di chi valuta usando come criterio i principi della sua religione (ad es. un cristiano per il quale un libro che propone valori cristiani è automaticamente un buon libro, e viceversa).

E siamo arrivati al semplice nodo del problema: la scelta di una griglia di riferimento è a sua volta una scelta, ossia niente di diverso da un’opinione personale. Perché, amici miei, i criteri oggettivi e universali per la valutazione di un’opera artistica non esistono. Sono un abbaglio nella migliore delle ipotesi, e nella peggiore una mistificazione fatta in malafede. 
Un simpatico diavolo alla finestra
Non esiste né è mai potuto esistere l’equivalente di una “comunità scientifica” per i prodotti artistici e/o di intrattenimento, ed è precisamente per questo che non esiste nemmeno un peer reviewing per libri, film o simili. Il concetto stesso è assurdo, e anche un po’ ridicolo. Ci possono essere pareri genericamente giudicati più autorevoli di altri – registi o scrittori famosi, accademici quotati, scuole di critica cinematografica o letteraria – ma di nuovo non si tratta di altro che di vox populi, o più spesso del suo triste contrario (micro-gruppetti di critici inaciditi che per varie ragioni odiano i gusti del grande pubblico, e che quindi costituiscono semplicemente un “popolo” più piccolo). 
Non c’è nulla di “scientificamente obiettivo” in tutto questo, e chi cerca di farvelo credere vi sta prendendo per il culo, anche se non sempre lo sa. Magari se ne potrà riparlare quando – e se – avremo un perfetto diagramma matematico del funzionamento della mente umana con tutti i suoi processi emotivi e cognitivi: forse a quel punto potrà esistere una vera scienza della “giustezza” o “sbagliatezza” di un’opera artistica. E sottolineo forse
Fino ad allora, l’opinione personale rimarrà un diavolo che rientra eternamente dalla finestra, pur facendolo a un livello più basso, alle radici del ragionamento anziché al suo culmine. Lì è più difficile notarla, ma c’è lo stesso e continua a farla da padrone. 

Quindi, per quanto mi riguarda vengano pure tutte le analisi critiche di qualsivoglia opera basate su tutti i criteri che più vi piacciono di più, che siano le vostre esperienze personali o quelle di qualcun altro. Non sarò mai io a negare l’autorevolezza di determinati pareri, che è qualcosa di ben diverso dalla pretesa di obiettività universale: se cercate di spacciare quest’ultima a casa mia, vi garantisco che avrete più fortuna cercando di vendermi un chupacabra.

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