venerdì 25 settembre 2015

A kind of magic?

L’intervento di Stefano Sormani sotto il mio post di qualche giorno fa sul Sidewalking (lo trovate qui, nei commenti) mi ha fatto rendere conto che, se continuerò a parlare di magia in questo blog, inevitabilmente mi verrà rivolta ancora e ancora una domanda semplice da formulare e forse non così semplice da sciogliere: ma alla fin fine che cos’è la magia? 
In particolare Stefano, a proposito del Sidewalking, osserva: 
Non capisco dove sarebbe la magia nell'intrattenersi durante una camminata lasciando un po andare la fantasia. 
E in un commento successivo, mescolando il discorso sulla magia con quello sugli dèi (che sono due discorsi diversi, ma io per primo non li considero scollegati): 
Per come la vedo io, il mondo è abbastanza magico così com'è senza dover dare ad ogni fenomeno un patrono umanizzato che lo gestisca. Le formule magiche esistono davvero, matematica e fisica e chimica non sono altro che quello, ma proprio come quelle dei racconti richiedono anni di studi e sacrifici per esser comprese ed utilizzate mentre tutti vogliono la via facile, la magia alla Harry Potter, in cui ti basta dire due parole di cui non sai nemmeno il significato per piegare il mondo al tuo volere. 
È un intervento che mi piace molto, contiene spunti sui quali si potrebbe andare avanti a parlare per un anno intero. Ma, per limitare necessariamente il campo (almeno per il momento), atteniamoci solo alla questione di come si definisce la magia. 
Aleister Crowley
Ho cercato la voce Magia sull’enciclopedia Treccani, e ho trovato: “La 'somma scienza' che presume di dominare le forze della natura”. 
In base a questa formulazione, si tratterebbe di una scienza in qualche modo superiore alle altre il cui scopo è fare esattamente quello che fanno tutte le altre scienze “non magiche”: dare all’uomo una misura di controllo sul mondo di cui fa parte. 
Dubito che qualunque persona di buon senso si accontenterebbe di questo. 
La definizione più comunemente utilizzata (ma non universalmente accettata) dai maghi di oggi è quella data dal celeberrimo mago Aleister Crowley, secondo il quale la magia è “la scienza e l’arte di provocare cambiamenti in maniera conforme alla volontà”. 
La prima reazione di quasi tutti davanti a queste parole suona più o meno: “Ma allora che differenza c’è tra la magia e una qualsiasi altra forma di azione? Il mio cellulare è magico perché mi permette di produrre un cambiamento, ossia comunicare con qualcuno, quando voglio farlo?” Crowley stesso ha risposto a questa domanda (o a una molto simile, considerato che nel 1913 non c’erano i cellulari) nella sua opera principale, Magick, in termini che a me paiono abbastanza inequivocabili: 
Si può definire operazione magica qualunque evento naturale portato in essere dalla volontà. Da questa definizione non vanno escluse l’attività bancaria o la coltivazione delle patate. Ecco un esempio molto semplice di arte magica: soffiarsi il naso. 
Queste tre frasi nel corso dell’ultimo secolo hanno provocato reazioni ancor più scomposte della definizione precedente. C’è chi ha concluso – e conclude tuttora – che dunque la magia non esiste, o non si differenzia in alcun modo dalla scienza; chi ha deciso che la magia magari esiste ma di fatto non serve a niente, se le stesse cose che farebbe un incantesimo si possono ottenere con mezzi “mondani”; chi si è incazzato e ha rifiutato tout court questa definizione e qualunque altra che le somigli anche solo di striscio. 
Di sicuro Crowley si sarebbe detto perfettamente d’accordo che le formule della matematica, della fisica e della chimica siano formule magiche a tutti gli effetti, e che producano proprio quel che la magia si è sempre prefissa di produrre: comprensione e controllo dell’uomo sull’universo fuori e dentro di lui. Allo stesso modo, riteneva che esistessero anche altre operazioni possibili all’uomo, non sottoposte alle regole matematiche o chimiche o fisiche, che ottengono risultati analoghi. E su questo punto gran parte degli scienziati non sarebbe d’accordo con lui. 
Intendetemi, questo discorso che sto facendo su Crowley e i suoi ragionamenti è a scopo esemplificativo: esistono altre definizioni di magia, tantissime altre, e le troverete facilmente cercando su Google. 
Qual è dunque quella giusta? 
Non ne ho la minima idea. 
L’unica osservazione che mi sento di fare è che ognuno, se vuole, può trovarsi la propria risposta, quella più in linea con la propria esperienza personale. 
Più in specifico, alla domanda che ha dato origine alla mia riflessione – dove starebbe la magia nel fare una passeggiata fantasticando su quel che si vede in giro – potrei rispondere a istinto: nel risultato. O, se volessi dirla con parole migliori delle mie, prenderei a prestito quelle di uno dei miei occultisti preferiti, Jan Fries:
Che valore hanno le nostre visioni? Be’, non possiamo aspettarci di percepire realtà obiettive con le nostre menti soggettive. Sarebbe alquanto stupido insistere che una qualsiasi visione sia “vera” o “reale”, non importa quanto vivida ci sia sembrata. Non abbiamo il dovere di credere o non credere alle esperienze che facciamo. A conti fatti, il solo “test di qualità” della nostra esperienza è quel che ne possiamo ricavare: se una visione ti tocca nel profondo, ti insegna qualcosa, ti ispira o ti trasforma in qualche modo, quella visione, che sia “vera” o “illusoria”, ha tutta la realtà che le serve. 
(mia traduzione da Visual Magick, Mandrake of Oxford 1992, pag. 142) 
Jan Fries
Di nuovo, a queste parole si può reagire in molti modi. Si può affermare che questa non è magia nemmeno nel senso più lato del termine, ma solo psicologia (o anche psicologia da marciapiede…) O affermare che non è nemmeno psicologia, che non è proprio niente, che è un discorso privo di qualunque valore oggettivo. 
Non sarò mai io a contestare questa posizione. Come giustissimamente sosteneva Stefano, il mondo è un posto abbastanza magico anche senza dèi e stregoni. Così come è un posto magico se ci incontriamo dèi e stregoni e chissà cos’altro.
Partendo dal primo dei due presupposti, la domanda sulla “magia delle passeggiate” perde di senso: non esiste nessuna magia, né nelle passeggiate né nelle bacchette magiche né in nient’altro. Partendo dal secondo, si può cominciare col Sidewalking e arrivare alle “magiche soffiate di naso” di Crowley.
Ognuno di noi sceglie. E ognuno di noi è responsabile delle conseguenze della sua scelta.

7 commenti:

  1. A dire il vero ancora non lo so cosa è la magia. Ne ho ancora un concetto embrionale, ma mi sembra che i ragionamenti sopra esposti afferrino i corni del dilemma : finzione e realtà concreta. Forse bisogna capire a che punto sta la linea, ma forse la linea è spezzata, e la magia sta in questo. Staremo a vedere.

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  2. Sono convinta da sempre che la magia non esista, nel senso che è un altro pezzetto di realtà: quello che la scienza fisico/matematica non sa ancora spiegare...ma che funziona.
    Quando i fenomeni naturali erano inspiegabili li si considerava magici, e forse tra qualche secolo rideranno di quei primitivi che consideravano magia le correnti energetiche.
    Quindi l'unica definizione che la mia testa fornisce è in negativo:
    Magia considero tutte quelle pratiche ripetibili che danno un controllo sulla realtà ma che non hanno spiegazioni, solo raffigurazioni mentali che aiutino ad usarle.

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  3. Per Stefano: forse chiedersi dove sta la linea non ha alcun senso. Posto che Crowley era un meraviglioso paraculo e noi lo amiamo per questo, ricordiamo quel che scrisse nel Liber O: «In this book it is spoken of the Sephiroth and the Paths; of Spirits and Conjurations; of Gods, Spheres, Planes, and many other things which may or may not exist. It is immaterial whether these exist or not. By doing certain things certain results will follow; students are most earnestly warned against attributing objective reality or philosophic validity to any of them». Passando ad altro (riguardo al «Hey, non riesco a tirare le palle di fuoco! Questa roba non esiste!»: essenzialmente, la magia non è un set di cose in cui credere, ma una serie di cose da fare. Dire che la magia non esiste è, per questo, un non sequitur, pari a dire che la gastronomia o il bricolage o la pittura non esistono.

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  4. secondo me di senso ne ha, in quanto la finzione comunque esiste.

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  5. Mi trovo d'accordo con Massimo Spiga, che secondo me inquadra bene la faccenda quando dice che la magia, essendo un insieme di cose da fare, non esiste al pari della gastronomia :D

    Per come la vedo io ci sono i fenomeni scientifici e ci sono i fenomeni magici (o parascientifici) e poi ci sono le scienze e la magia (lo studio e la manipolazione di questi fenomeni).
    Il "problema" (se vogliamo considerarlo tale) dei fenomeni magici è che non rispondono agli stessi criteri dei fenomeni scientifici, e il problema della magia è che la centralità della volontà nel sistema complica parecchio le cose.

    Alla fin fine, semplificando enormemente, un fenomeno scientifico è tale perché, date certe condizioni di partenza, si verificherà sempre allo stesso modo. Se abbiamo un melo in giardino quando le mele si staccheranno dai rami cadranno a terra, sempre.
    Al momento di studiare/manipolare il fenomeno, praticare la scienza insomma, ci basterebbe staccare una mela dall'albero e lasciarla cadere. Non importa che noi si voglia o meno che la mela cada, che ci sia stia concentrando sulla mela o si stia pensando ad altro. La mela cadrà verso terra come dovrebbe.

    I fenomeni magici, invece, date le stesse condizioni non si verificano sempre. La Madonna di Lourdes non guarisce tutti quelli che vanno lì e pregano per essere guariti, pur essendoci sempre le stesse condizioni (il santuario, la Madonna, il richiedente e la preghiera) e al momento di manipolare il fenomeno, praticare la magia, che noi si stia pregando credendoci e volendo intensamente essere guariti o si stia recitando l'Ave Maria mentre si ripercorrono le azioni dell'ultimo derby visto allo stadio fa molta differenza.

    Insomma, abbiamo una categoria di fenomeni che non si piegano a uno studio metodico degli stessi e rispetto ai quali non è possibile non dico approcciarli, ma nemmeno pensare di approcciarli senza star mutando il quadro.
    E' come se la magia fosse una scienza sociale portata all'estremo limite perché non si tratta "semplicemente" di studiare l'essere umano (le cui azioni finali, comunque, sono registrabili, paragonabili, possibili oggetto di statistiche) ma fenomeni che sia nella loro osservazione che nella loro manipolazione subiscono l'azione del nostro pensiero.

    Credo che lo scetticismo da parte di molti che inquadrano i fenomeni magici nell'alveo della psicologia sia inevitabile, e mi piace molto l'affermazione di Jan Fries riportata da Luca. Effettivamente la qualità dell'esperienza magica per chi la esperisce è forse l'unico dato certo su cui si può ragionare (salvo uno non esca dall'esperienza magica con le stimmate o simili XD)

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  6. Voglio fare una precisazione riguardo al commento qui sopra.
    La medicina è scienza, in quanto date le condizioni di partenza, la manipolazione si verifica sempre allo stesso modo. Questo se non altro fa rientrare alcune terapie nell'ambito della magia e non della scienza, visto che il risultato non è mai certo, anzi. La ripetitività dei fenomeni si verifica in alcuni casi sempre, in altri a volte, in altri ancora quasi mai, il che va bene per confortare l'uomo, ma non per avere delle certezze su ogni cosa esistente.
    In secundis, la preghiera non è un atto magico in senso stretto, dunque un orante che chiede guarigione alla Madonna di Lourdes di fatto si sta rimettendo alla volontà di qualcun altro, e non alla propria nella maniera in cui la intendono Crowley e Fries. Non è, insomma, la stessa cosa di quando si modifica la realtà con un incantesimo secondo il proprio volere, che è forse l'atto magico più comune.

    Mauro

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    1. Eh, so che l'esempio non è esatto ma lì per lì non me ne sono venuti in mente di migliori ^^'

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