martedì 12 settembre 2017

La magia, la realtà e una porta rotta


Oggi parlerò di magia nel “senso stretto” del termine (chi sta già storcendo il naso è avvisato di girare al largo), ma, per quanto l’argomento in sé corra il rischio di diventare pesante, tenterò di rendere leggera almeno l’esposizione, e magari di non trasformare il tutto in uno sproloquio di cui fregerebbe vagamente qualcosa solo gli addetti ai lavori. 

Pressoché chiunque si sia interessato anche solo un pochino di magia in qualche momento della sua vita ha inevitabilmente sentito parlare del Banishing. Potreste averlo conosciuto con un altro nome (in italiano girano da decenni traduzioni tremende come “rituale di bando”, che a me fanno l’effetto di uno spillo infilato in un orecchio, ma vabbe’…) e, se avete studiato qualche incantesimo, questo è quasi certamente uno tra i primi che avete imparato se non il primo in assoluto. Moltissimi gruppi magici formali (come l’Ordine Ermetico della Golden Dawn, per citarne uno maggioritario, ma anche tante congreghe wiccane) iniziano l’addestramento dei neofiti proprio da qui.
Questa giusto per sdrammatizzare un po'!
Può essere usato anche da solo ma il più delle volte apre e/o chiude altri rituali più complessi: in altre parole, se la magia fosse sesso, il Banishing sarebbe un preliminare. La sua funzione è una via di mezzo tra un saluto, un rito di purificazione e un esorcismo, e in effetti contiene elementi di tutte queste attività.
Gli adepti delle correnti esoteriche più tradizionali, come la magia cerimoniale, vi spiegheranno che il Banishing consacra lo spazio fisico e gli strumenti che serviranno per la magia, purifica l’ambiente eterico dalle correnti negative e dai residui psichici e, se ci si sta muovendo in un paradigma che include anche entità immateriali, caccia via a pedate gli Spiriti indesiderati.
In contesti più moderni (o postmoderni) come la magia del caos, in cui l’azione di energie astratte o la presenza di entità invisibili sono cose lasciate più che altro all’opinione individuale, il Banishing è presentato in (ma niente affatto limitato a) una chiave più psicologica: il rituale di apertura servirà allora al mago per “centrarsi”, per separare quel che sta per fare dallo spazio e dal tempo della sua vita normale, per esorcizzare Spiriti nocivi come la voce del capufficio o il bisogno di fare uno scroll su Facebook, per indossare simbolicamente il mantello da stregone e vedersi – sia dall’intero che dall’esterno – pronti ad aprile le danze con le forze segrete dell’Universo (un buon esempio lo fornisce qui l’impeccabile Phil Hine).
All’atto pratico esistono moltissimi modi per eseguire un Banishing, ma consistono più o meno tutti in una serie di gesti, formule e visualizzazioni che ruotano intorno al tracciare – sia nello spazio fisico che in quello mentale – un simbolo di potere: tradizionalmente il pentacolo (il Rituale Minore del Pentagramma elaborato dalla Golden Dawn è uno degli incantesimi più famosi al mondo) o la croce o, nell’ambito della magia del caos, la stella a otto punte*.
Istruzioni per una versione molto semplice di Banishing
Sia ben chiaro, sto semplificando ai limiti dell’errore, ma spiegare i perché e i percome dei rituali di Banishing esula del tutto dal discorso che voglio fare. Se siete curiosi dei dettagli, una piccola ricerca su Google vi fornirà quanto basta a tenervi occupati per il resto del pomeriggio.

Fine della premessa (abbiate fiducia, non era inutile).
Quel che mi interessa ora è concentrare l’attenzione sul Banishing che molte scuole di magia raccomandano di eseguire sempre al termine di un incantesimo o di un rituale magico**. Il suo scopo, in analogia al Banishing iniziale, sarebbe quello di “dissipare i residui” dell’operazione, riportarvi “coi piedi per terra” nel mondo quotidiano, rimandare a casa qualunque Spirito vi abbia assistito nelle vostre stregonerie e, per citare un esempio famoso nel mondo dei maghi, evitare che scendiate a farvi una birra nel bar sotto casa dimenticandovi che avete ancora addosso mantello e cappuccio.
Il principio che sta alla base di tutto il ragionamento è che la magia avverrebbe in un contesto “separato dal resto del mondo”, in uno spazio e in un tempo speciali, che possono anche consistere solo in mezzo metro quadrato e pochi secondi di concentrazione ma che sono totalmente consacrati all’operazione magica, di cui il rito di apertura e quello di chiusura costituirebbero le “porte” d’ingresso e di uscita.

Ed è proprio qui che io vorrei instillare, se non una vera obiezione, per lo meno un minuscolo (e questionabilissimo, sia ben chiaro) dubbio.

Per farlo ricorrerò a un bellissimo (secondo me) esempio elaborato dal mago, matematico e filosofo Ramsey Dukes nel suo libro S.S.O.T.B.M.E. Revised, grande classico della magia postmoderna che trovate anche nella bibliografia del blog. Dukes suggerisce di immaginare che stiate tornando in taxi da una festa e che, ormai vicini a casa, vediate che il tassametro segna un po’ più di quattro sterline (tenete conto che è un libro scritto negli anni Settanta). Ma, aprendo il portafogli, vi rendete conto con orrore di non avere con voi il becco di un quattrino.
Che fare? 
Qualunque mago che si rispetti reagirebbe verosimilmente con un incantesimo: un Sigillo formulato sull’unghia, un mini-rituale per attrarre fortuna, un’invocazione a qualche nume, Spirito o demone preposto ad aiutare in circostanze d’emergenza (tra i favoriti penso ci sarebbero Ermes, Ganesh, Sant’Espedito o Mammona). 
A quel punto potrebbe accadere che il mago, appoggiando la mano sul sedile, senta qualcosa di duro infilato in una piega e si trovi tra le mani una moneta da cinque sterline, si suppone dimenticata lì da qualche passeggero precedente. Incantesimo riuscito, figuraccia scongiurata, mago e taxista ugualmente soddisfatti.

Salutate nonno Ramsey
Fin qui tutto piuttosto normale nella vita di uno stregone. Se qualcuno che sta leggendo bazzica la magia, avrà visto succedere cose del genere ben più di una volta. La parte davvero interessante è quella che arriva dopo
Come fa notare Dukes, solo un mago tremendamente dogmatico, fiducioso nei propri poteri ai limiti del fanatismo, avrebbe come primo e ultimo pensiero: “Fico, sono in grado di materializzare denaro dal nulla!” Allo stesso modo, solo un mistico con fede assoluta nei suoi protettori sovrumani (potenzialmente, nient’altro che una diversa marca di fanatismo) partirebbe dal presupposto che le Forze che vegliano su di lui, prevedendo in anticipo la sua dimenticanza, abbiano predisposto la catena delle coincidenze perché un passeggero salito prima di lui perdesse esattamente il denaro che sarebbe servito a lui, e nessun altro dei passeggeri successivi lo trovasse prima del destinatario designato, cioè appunto lui. 
Piuttosto, pressoché qualunque persona del Ventunesimo secolo, che sia religiosa, agnostica o atea, praticante di magia da una vita intera o scettica e razionalista fino all’osso, arriverà presto o tardi (più presto che tardi, in genere) a una formulazione del tipo: “Andiamo, non posso essere salito in taxi senza nemmeno controllare di avere dei soldi addosso, anche se a quella festa ho bevuto un po’: non sono così coglione! Probabilmente mi ero messo la moneta in tasca e ora non me lo ricordo. Poi mi è scivolata fuori e, quando l’ho cercata, l’ho ritrovata sul sedile” (ovviamente è solo un esempio: sono sicuro che vi verranno in mente molte altre spiegazioni sulla stessa linea, anche migliori di questa).

Lo voglio ripetere: tale pensiero, o uno analogo, verrebbe a chiunque si trovasse nella situazione del nostro esempio, anche a un mago che avesse appena visto funzionare alla perfezione il suo incantesimo attira-monetine. E il punto sta proprio qui: questo pensiero, sottolinea Dukes, è esso stesso un incantesimo di Banishing
È una sorta di visualizzazione che ci riporta “coi piedi per terra”, che dissipa i residui indesiderati della nostra magia (come il rischio di convincerci che sappiamo materializzare il denaro a volontà), che ci fa rientrare in quel continuum in cui tutti – maghi e non – viviamo immersi tutti i giorni, fatto di rapporti causa-effetto facilmente individuabili, di coincidenze che sono solo coincidenze e di quel tranquillizzante paradigma scientifico-razionalista che ci piace tanto applicare, essendo il dogma preferito della nostra civiltà . 
Perché, vedete, sempre di dogmatismo si tratta, anche se non di un dogmatismo di matrice religiosa. Nella spiegazione di cui sopra io do per assodato un passaggio – avevo il denaro in tasca e me ne sono dimenticato, poi l’ho perso sul sedile e non me ne sono accorto – del quale non ho alcuna prova positiva: semplicemente, è la spiegazione che meglio si adatta allo schema razionalistico in cui sono cresciuto. Prendendola per buona come unica spiegazione possibile, sto volutamente ignorando dei dati in mio possesso e dando per scontate delle circostanze “a priori” – mi auto-accuso di una dimenticanza, ma con quali prove? – ovvero, paradossalmente, non sto usando sul serio il metodo scientifico, che deve per forza partire dai dati concreti a disposizione e poi costruire una teoria su di essi. Uno scienziato che falsifica dati di laboratorio per confermare le sue teorie viene sbattuto fuori a calci in culo, se lo beccano. Per contro, avere una spiegazione aprioristica e applicarla in qualunque caso, indipendentemente dai dati, è proprio una caratteristica del pensiero religioso-fideistico.

Che cosa distingue, dunque, il pensiero di un mago da quello di qualcuno che ritiene la magia una solenne stronzata, se l’uno e l’altro penseranno prima o poi la stessa cosa mentre fissano la moneta che si sono ritrovarti in mano? Secondo Dukes, li distingue il non insistere sulla spiegazione, o meglio ancora il “non congratularsi con se stessi per averla trovata”. Qualunque spiegazione è uno schema, e in questo contesto qualunque schema ha uno scopo preciso (conscio o inconscio): fare da Banishing a quello che è appena successo (incantesimo riuscito, colpo di fortuna, catena razionale di eventi o banalissima coincidenza). Dukes, tra l’altro, la giudica un’ottima magia di Banishing, forse la migliore che potremmo usare in un caso del genere. 

E a questo punto, per ricollegarci al discorso da cui tutto è partito, la mia domanda diventa: ma quanto la nostra magia è separata dalla vita di tutti i giorni, chiusa nella sua bolla di rituale fuori dal tempo ordinario, se persino la più “grigia” razionalizzazione degli effetti di un incantesimo si rivela parte dell’incantesimo stesso, anzi suo naturale completamento?

O, formulata ancora meglio, che cosa distingue la magia dalla nostra vita di tutti i giorni? Nell’insistere tanto sulle porte di entrata e di uscita (non nello stabilirle, cosa che il suo senso ce l’ha, ma proprio nell’insistere sulla loro presenza) non rischiamo forse di costruire porte rotte in partenza?

Dukes, nell’introduzione al suo libro, fornisce quella che per lui è sempre stata la sola possibile risposta, e io ve la lascio qui, in traduzione mia, a mo’ di saluto: 
Per capire veramente la magia e il suo posto nella nostra società, sarebbe più utile cominciare a considerarla un diverso modo di pensare, anziché un diverso modo di agire. 



* Chiunque abbia assistito dal vivo a una performance degli Omnia ha visto il musicista-stregone Steve Sic eseguire questo rito sul palco all’inizio di ogni concerto, o appena prima 

** Per amor di completezza va notato che alcune correnti differenziano il rito di apertura (Invocazione) da quello di chiusura (Banishing), che in questi casi hanno scopi e modalità diversi, ma anche qui si andrebbe lontano dall’argomento presente

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