lunedì 30 aprile 2018

Supereroi da santino


In un articolo di sei mesi fa (questo) avevo espresso il proposito di scrivere “in tempi brevi” qualcosa sui santi cristiani nell’ottica della magia postmoderna. Diciamo che la parte cronologica della promessa non l’ho esattamente rispettata, ma siccome i nodi prima o poi vengono al pettine, è arrivato il momento di onorare la mia promessa. 

Chiariamo subito un punto: a me i santi piacciono un casino
Non a caso ho accettato come un onore la richiesta di scrivere la prefazione della bellissima graphic novel di recente pubblicazione che vedete qui accanto: The Golden Legend, reinterpretazione di sapore “supereroistico” di alcune storie di santi tratte dalla Legenda Aurea, per mano di un gruppo di fumettisti italiani. 
Una reinterpretazione a mio avviso non solo lecita ma anche “filosoficamente corretta”, dato che i santi hanno tenuto per tutto il medioevo europeo il posto che nell’antichità classica tenevano gli eroi mitologici, e che dal Ventesimo secolo in poi è stato occupato dai supereroi: né dèi né comuni mortali, ma “sovra-uomini” votati a difendere il resto della razza umana dalle forze del male, che si trattasse di Lucifero e dei suoi angeli, di invasori extraterrestri, di scienziati pazzi o di zombi nazisti in sella ai dinosauri. 
Che ci piaccia o no, i santi sono una parte ineliminabile della nostra cultura di occidentali del presente, persino se non siamo di religione cristiana. Ai pagani di oggi piace spesso ripetere (sì, a pappagallo) che i cristiani dei primi secoli hanno sovrapposto i loro santi agli antichi dèi, che hanno rubato le feste delle varie tradizioni pagane per riverniciarle con la loro liturgia e via dicendo. Sono affermazioni che abbiamo sentito tutti più di una volta. A volte hanno fondamento storico, a volte no, ma purtroppo è una cosa di cui si preoccupano in pochissimi (anche tra i pagani ci sono i fondamentalisti, gli ideologizzati e gli ignoranti convinti di sapere tutto: quando si parla di religioni, that’s the nature of the beast). 
En passant – perché non è l’argomento del mio articolo, che altrimenti si trasformerebbe in un trattato – vale la pena non dimenticare che il “processo di identificazione” tra santi e dèi ha funzionato benissimo anche in direzione opposta: sto parlando ovviamente delle religioni sincretiche afroamericane come il Vudù e la Santeria (fate caso al nome), dove le divinità e gli spiriti di origine africana (Loa, Orisha e via dicendo) e i santi cattolici sono meravigliosamente fusi in entità unitarie (nella tradizione hoodoo di New Orleans tante volte non c’è nemmeno bisogno del dio africano: il santo cattolico è tranquillamente venerato e “impiegato” come uno spirito magico operativo, a cui si può chiedere anche di maledire o uccidere un nemico se queste cose rientrano nelle sue potestà).* 

Non nasconderò – e non l’ho mai nascosto – che la mia simpatia per i santi deriva anche dal fatto che agli altri pagani spesso sta sulle balle per principio qualunque cosa odori di cristianesimo, e a me rompere le scatole dà soddisfazione (anche quando finisco per prendere botte). Tuttavia, a dispetto di quanto detto finora, non è mia intenzione parlare di religione: quel che voglio fare in questa sede è guardare i santi con l’occhio del mago postmoderno. 
E su questo punto non resisto alla tentazione di lasciare la parola a un noto chaos magician, Gordon White (la traduzione è mia):
Come certa gente riesca ad affermare di possedere sensibilità magica e nello stesso tempo a dichiarare che “i cristiani” hanno semplicemente “cambiato nome” alle feste pagane per trasformarle in feste dei santi è una cosa che sfugge alla mia comprensione. È un insulto all’intelligenza degli antenati pagani che quella stessa gente afferma di riverire, come pure un insulto alla potenza della tradizione magica europea che nelle storie dei santi trova una delle sue tante espressioni. Io mi sono fatto un punto di visitare decine di luoghi sacri dedicati ai santi – ufficiali e non – in tutta l’Europa. E quel che ho trovato in quei luoghi è una manifestazione localizzata di magia, misticismo e cultura, non “un dio pagano con un nuovo nome”, come se i vostri antenati fossero troppo stupidi per capire la differenza (i miei di certo non lo erano). 
(Gordon White, Pieces of Eight, 2016) 
Sant’Espedito va forte a New Orleans,
ma anche - indovinate un po’ - a Milano

Al di là dei toni supponenti (io rispetto molto Gordon White come occultista ma mi dà sui nervi il suo modo di esprimersi), la prospettiva è chiara: un mago postmoderno interessato ai santi e alle loro tradizioni non ha motivo di preoccuparsi della storicità di tali tradizioni, della reale appartenenza di un santo a una liturgia cristiana (cattolica, ortodossa etc.) o del fatto che il santo in questione sia o no la maschera di cartapesta di qualche antico dio o dea.
Per i maghi, un santo identificato da un nome e da una simbologia, che ha un giorno sacro, che riceve un culto (magari da secoli), che è protagonista di una leggenda o comunque di gesta sovrumane ha già tutto quel che serve a un’entità incorporea per poter essere avvicinata, riverita, incontrata in una visione e interpellata per ricevere assistenza magica. 

Dunque, un po’ per gioco e un po’ per vostra eventuale utilità, ho compilato un elenco di sette santi di varia epoca e provenienza, scegliendo tra i miei preferiti e tra quelli che a mio avviso possono fare più comodo agli occultisti di oggi come amici e alleati. Ovvio che si tratta solo di una lista “tanto per iniziare”: anche con poca ricerca ne troverete moltissimi altri.
 Nell’elenco non ho incluso quattro santi uccisori di draghi – santa Marta, santa Margherita, san Columba e san Giorgio – perché ne ho già parlato mesi fa nell’articolo sull’argomento specifico. Non ho incluso nemmeno un santo che amo assai, sant’Espedito (che a New Orleans fa più magie di chiunque altro nel calendario), perché tutto quel che potreste voler sapere su di lui lo trovate già qui.
E, se vi chiedete come dovrebbe fare un mago a “usare i santi”, be’, fate esattamente come i loro fedeli: leggete le loro leggende, imparate le loro preghiere, portare offerte alle loro immagini, ricordatevi dei loro giorni, trattateli come persone con cui tenete davvero ad avere a che fare. E il resto vi sarà chiaro piuttosto in fretta.

Ecco dunque il mio elenco di supereroi da santino.

Sant’Odran di Iona
Meno famoso del già ampiamente citato san Columba – di cui era seguace e compago di viaggio – fa parte di quella specie di “Corte dei Miracoli nordeuropea” che erano i santi celtici, ma la sua leggenda è persino più strana della media (e, date retta a me, i santi celtici erano gente parecchio strana). Quando san Columba e compagni arrivarono sull’isola di Iona, in Scozia, e tentarono di costruirci un monastero, scoprirono che qualche forza misteriosa remava loro contro: ogni mattina i muri che avevano eretto il giorno prima giacevano a terra in pezzi. Columba pregò per avere consiglio e in sogno gli fu detto che si doveva seppellire vivo un essere umano sotto le fondamenta (un sacrificio di fondazione in piena regola, 100% paganesimo D.O.C.) Il giovane Odran si offrì volontario, Columba gli promise il Paradiso come ricompensa e lo fece seppellire senza perdere altro tempo. La magia funzionò e il monastero fu completato. Qualche anno dopo, a Columba venne la curiosità di vedere in che condizioni fosse Odran: fece dunque scoperchiare la sua tomba sotto l’edificio e Odran tentò subito di uscire, proclamando a gran voce che lui dall’altra parte non aveva trovato né un Paradiso né un Inferno. Columba ordinò immediatamente di ricoprirlo con un gran cumulo di terra, prima che gli altri compagni lo sentissero, e il monastero ebbe finalmente pace.
Il giorno in cui si venera questo santo-zombi che faceva discorsi blasfemi è il 27 ottobre, e a mio giudizio i maghi di oggi possono rivolgersi a lui quando devono cavarsela in situazioni di grave imbarazzo (considerate che lo hanno fatto santo nonostante tutto il resto...) e quando devono trattare con i morti senza pace.


Santa Dwynwen di Anglesey
Altra santa celtica (questa volta gallese), popolarissima dalle sue parti tanto nel medioevo quanto oggi: la sua festa in Galles è l’equivalente del giorno di San Valentino qui da noi, ma la storia che c’è dietro è dieci volte più folle. Vissuta nel Quinto secolo, Dwynwen era una principessa dell’isola di Anglesey (ovvero Ynys Mona, dove quattro secoli prima i romani avevano massacrato gli ultimi druidi della Britannia) ed era innamorata di un principe di nome Maelon. L’inghippo stava nel padre di lei, il re Brychan (santo pure lui), che l’aveva promessa a un altro, o secondo una variante voleva mandarla in monastero. Non sapendo che fare, Dwynwen andò in un bosco e pregò di essere liberata dai suoi sentimenti: prontamente calò dal cielo un angelo che le consegnò un liquido “dal sapore dolce”, dicendole che con quello avrebbe risolto tutto. La ragazza la fece bere al principe, che si trasformò in un blocco di ghiaccio. Comprensibilmente costernata, Dwynwen pregò di nuovo, stavolta che le venissero concessi tre desideri: sbrinare Maelon, non innamorarsi mai più e la promessa divina che tutti gli innamorati del mondo potessero trovare la felicità, o mettendosi insieme o facendosi passare la cotta (dettaglio che a mio avviso denota una saggezza insolita).
Ricapitolando, in questa storia cristiana abbiamo un angelo trickster, una pozione magica, una metamorfosi e tre desideri come nelle Mille e una notte: per me abbiamo vinto su tutta la linea. Il giorno di santa Dwynwen è il 25 gennaio e i maghi possono rivolgersi a lei per manipolare i sentimenti (propri e altrui) e magari per “congelare” le attenzioni sgradite (stalker, siete avvertiti!) 
  

San Brizio di Tours 

Per non andare avanti in eterno a parlare di santi celtici (credetemi, si potrebbe…) ne cito ancora uno soltanto: san Brizio di Tours, che visse in Gallia tra il Quarto e il Quinto secolo. Era un membro del clero locale, ma san Martino di Tours, che fu il suo vescovo fino alla morte (e Brizio stesso divenne il suo successore), racconta che aveva un gruppo di seguaci suoi, spesso in disaccordo con il resto della Chiesa, che viveva perlopiù nei boschi e che vestiva sempre di bianco. In altre parole era probabilmente un druido cristianizzato, che forse – almeno sulle prime – guidava persino una setta eretica semi-pagana. Il suo nome d’altronde sembrerebbe rimandare a quello della dea Brigit-Brigantia, divinità celtica legata al fuoco. Non a caso, quando Brizio divenne vescovo una monaca del posto, rimasta incinta, lo accusò di essere il padre del bambino, e lui si scagionò in un’ordalia pubblica camminando indenne sui carboni ardenti (o, in un’altra versione, portando in giro per la città senza ustionarsi la sua mitra vescovile piena di tizzoni accesi). 
Il suo giorno è il 13 novembre e i maghi possono rivolgersi a lui per farsi proteggere dalle malelingue, per ottenere giustizia se sono stati accusati ingiustamente o in qualunque circostanza ci sia bisogno di maneggiare il fuoco (anche metaforico) senza farsi male.


San Galgano 
Il “re Artù di casa nostra”, san Galgano è un personaggio storico realmente vissuto, un cavaliere toscano nel Dodicesimo secolo. Ma – come accade per la maggior parte dei santi – la sua leggenda è molto più interessante della sua vita terrena. Da giovane era un guerriero di quelli cattivi, a cui interessavano soltanto le donne, il vino e gli spargimenti di sangue, finché l’arcangelo Michele (patrono della sua famiglia) cominciò a fargli regolarmente visita e a mostrargli visioni apocalittiche di ogni genere, fino a dargli a intendere  che Lassù volevano che ci desse un taglio con la bella vita. Galgano divenne dunque un eremita e appese la spada al chiodo, o meglio la infisse in un masso per farne una croce davanti alla quale pregare. E la spada è ancora lì oggi, nell’abbazia cistercense di Chiusdino vicino a Siena, dentro una piccola chiesa (la “Rotonda di Montesiepi”) che trabocca letteralmente di simbologia esoterica. Potete andare a vederla coi vostri occhi, ma vi sconsiglio di toccarla, perché la leggenda racconta di cose orribili successe a chiunque abbia cercato di rimuoverla dal suo sasso: tre monaci ci provarono mentre Galgano era ancora in vita, e uno finì annegato, un altro colpito da un fulmine e il terzo sbranato dai lupi. Peraltro a Galgano l’arma non servì più, perché ogni volta che il Diavolo apparve per tentare di strapparlo alla sua vita da santo l’arcangelo Michele arrivò personalmente per rispedirlo all’inferno. 
I suoi giorni sono il 30 novembre e il 3 dicembre, e i maghi possono rivolgersi a lui per qualunque cosa si possa chiedere anche all’arcangelo Michele (le due figure sono praticamente intercambiabili): battere un nemico o un rivale, pianificare una battaglia, vincere il male fuori e dentro di noi.


San Teofilo di Adana 
Un santo che è sempre andato per la maggiore tra gli occultisti è san Cipriano di Cartagine, sotto il cui nome le tradizioni collocano svariati grimori molto usati ancora oggi. Ma, se questo “santo patrono dei maghi” è già troppo mainstream per i vostri gusti, potete optare per san Teofilo di Adana, il dottor Faust della storia della Chiesa, ovvero – stando alla sua leggenda – il primo cristiano ad aver fatto un patto col Diavolo e a esserne uscito indenne. Nato in Cilicia nel Sesto secolo, era un sacerdote molto amato, tanto che gli venne offerta la carica di vescovo della città: lui sulle prime rifiutò per umiltà, ma quando venne messo un altro vescovo al suo posto gli girarono potentemente le balle (pensarci prima no, eh?) Non potendo rivolgersi altrove, evocò il Diavolo, che lo fece diventare vescovo in cambio della sua anima, facendogli anche firmare il primo patto di sangue di cui abbiamo notizia nella storia. Poco tempo dopo, però, il nostro Teofilo rinsavì, gli venne una fifa tremenda e pregò come un ossesso la Madonna per trentatrè giorni ininterrotti, al termine dei quali si svegliò un mattino con il patto diabolico appoggiato sul petto: lo gettò subito nel fuoco e morì sul posto, per la pura contentezza di non dover più finire all’inferno.
Il suo giorno è il 4 febbraio e i maghi possono rivolgersi a lui – incrociando forte le dita – quando si tratta di “battere il Diavolo al suo gioco”, ossia di uscire da una pessima situazione in cui si sono cacciati con le loro mani (sfuggire alla giustizia rientra nella casistica, ma personalmente non incoraggio affatto l’illegalità).


Santa Elisabetta la Taumaturga
Scommetto che questa non la conoscete, ed è presto detto il perché: è una santa ortodossa, di quelli che nella cattolica Italia nessuno sente mai nominare. A me interessa perché, come santa Margherita e san Giorgio, ha ucciso un drago, ma in modo talmente badass che i suoi due più noti colleghi impallidiscono al confronto. Elisabetta era badessa in un monastero di Costantinopoli all’epoca dell’imperatore bizantino Leone I (457-474) e andava famosa per suoi poteri miracolosi (da qui il suo nomignolo), che aveva ottenuto a forza di digiunare e con i quali curava i malati, faceva rinsavire i folli e disintegrava i demoni. Un giorno l’imperatore donò al monastero un vasto appezzamento di terra appena fuori città, ma era un regalo con fregatura inclusa: un drago gigantesco ci aveva fatto la tana. Per niente inquietata, Elisabetta uscì dal monastero a piedi nudi, andò sul posto e urlò al drago di venir fuori: quando il mostro lo fece, la monaca gli sputò addosso (sic), poi gli afferrò la testa, gliela piegò al suolo e la calpestò fino a spaccarla. L’imperatore fu contento (viene il vago dubbio che il vero scopo del regalo fosse quello…), la città pure ed Elisabetta si guadagnò la fama di una che era meglio non far incazzare.
Il suo giorno è il 24 aprile (non a caso il giorno dopo quello di san Giorgio) e i maghi possono rivolgersi a lei quando si trovano mal equipaggiati a dover affrontare problemi enormi: Giorgio il drago lo ha caricato a cavallo, con lancia e armatura, ma Elisabetta il suo lo ha scannato a mani nude!


San Cristoforo Cinocefalo
In ultimo, non possono non citare un santo interessante non tanto per la sua storia più nota (quella in cui portò in spalla Gesù bambino da una sponda all’altra di un fiume, riportata nella Legenda Aurea) quanto per una sua meno nota iconografia: sto parlando di san Cristoforo, che nell’arte bizantina era spesso raffigurato con… la testa di un cane. Di questa bizzarria gli studiosi di oggi danno una spiegazione piattissima: i bizantini avrebbero letto male l’aggettivo latino che indicava la provenienza etnica del santo, cananeus (cananeo), interpretandolo come canineus (canino). Ma l’enorme simbologia che si intravede dietro tutto questo fa pensare a radici ben più vaste e antiche, di cui si erano già appropriate le leggende medievali soprattutto nell’Oriente greco. In una versione della sua storia, Cristoforo era un membro di una razza di uomini-bestia fatto prigioniero da alcuni legionari romani in Africa: oltre ad avere testa di cane era gigantesco e oscenamente forte, abbaiava e mangiava carne umana, ma la conversione al cristianesimo e l’acqua del battesimo lo tramutarono in un essere umano in grado di parlare (pare però che il gigantismo gli rimase). Capite bene che si potrebbe andare avanti ad analizzare questi simboli per pagine e pagine, ma io mi fermo qui.** 
Il suo giorno è il 25 luglio (ovvero nel cuore della canicola, i giorni più caldi dell’anno, in cui la stella Sirio – il Cane di Orione – è all’apogeo) e i maghi possono rivolgersi a lui quando si tratta di gestire la parte più “bestiale” di ciascuno di noi, o negli incantesimi che coinvolgono i cani, i lupi, gli sciacalli, la licantropia, le metamorfosi animali e chi più ne ha ne metta.


* Se l’argomento vi interessa, vi rimando a questo eccellente articolo di Mauro Ghirimoldi

** Di santi legati ai cani ne esistono molti altri (che non elencherò per brevità), ma il caso più estremo è di certo san Guinefort, vero e proprio “cane santo” della tradizione popolare, di cui potete leggere la storia qui

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